giovedì 29 dicembre 2011

Dietro le parole di Del Piero

Oggi si è tenuta la terza edizione del "Globe Soccer", la rassegna che ogni anno riunisce a Dubai il meglio del calcio mondiale. Durante la conferenza stampa che ha preceduto la consegna dei premi, Del Piero - che ha ritirato l'oscar alla carriera - ha stupito molti pronunciando queste parole: «Giocherò ancora dieci anni, non sono mai stato così bene e così in forma. Non penso al futuro ma a fare il mio mestiere, proprio per questo non coltivo altre intenzioni».
Se prendessimo alla lettera queste dichiarazioni, certo che dovremmo stupirci! Del Piero ha oggi 37 anni, e stando alle sue parole, dovrebbe giocare fino a 47 anni. Cosa che ovviamente non succederà, ed è lui per primo a saperlo. Non è la prima volta, nell'ultimo periodo, che Del Piero rilascia dichiarazioni di questo tipo: anche in occasione della sponsorizzazione di un nuovo modello di scarpetta tecnologica - qualche settimana fa - Del Piero non mancò di dire che avrebbe giocato ancora a lungo. E infatti, salvo inaspettati cambiamenti di programma, dovremmo vederlo su un campo da calcio fino a 40 anni o quasi. Con buona pace dei critici.
Probabilmente però dietro le parole di Del Piero c'è anche un messaggio alla dirigenza bianconera, e in particolare una risposta indiretta (ma neanche tanto indiretta) ad Agnelli, che lo scorso ottobre lo aveva di fatto mandato in pensione anticipata, annunciando davanti all'assemblea degli azionisti che questa sarebbe stata la sua ultima stagione alla Juventus. Come ha detto oggi Tacchinardi intervenendo a "Radio Sportiva": «Non credo che Del Piero voglia giocare ancora dieci anni. Ma fa bene a parlare così. Leggo le sue parole come un messaggio: "Io ci sono, voglio rimanere ancora alla Juve, sono integro e sano"». Per poi aggiungere: «Mezz'ora-un tempo Alex ha ancora la forza per starci, non sono solo parole. Un Del Piero in queste condizioni può ancora far comodo al nostro campionato, sarebbe un peccato se andasse a giocare in America come si dice». Parole molto condivisibili.
L'esperienza, il carisma, ma anche la disciplina, il rispetto delle regole che non è mai mancato, oltre all'integrità fisica e alla voglia che ancora oggi ha Del Piero dovrebbero spingere Agnelli a tornare intelligentemente sui suoi passi. In Inghilterra, il 38enne Ryan Giggs, storico centrocampista del Manch.Utd, sta per rinnovare il suo contratto con i Red Devils fino al giugno 2013. A volte si deve saper guardare oltre i dati anagrafici.

venerdì 23 dicembre 2011

Se lo dice l'investigatore...

Oggi il Corriere dello Sport ha pubblicato un'intervista/confessione di un investigatore della squadra di Auricchio che condusse le indagini su Calciopoli. Finalmente emergono delle rivelazioni/ammissioni importanti da parte di chi quelle indagini le ha fatte: «Troppi buchi nelle intercettazioni, è stata una cosa forzata: non abbiamo mai scoperto una vera partita truccata. Le condanne non stanno in piedi». Consiglio vivamente a tutti coloro che sono interessati all'argomento di leggere questa intervista/confessione (la trovate qui sotto oppure cliccate qui per leggere direttamente dalle pagine del Corriere), perché si capiscono molte cose. Adesso tutti devono aprire gli occhi su Calciopoli. Nessuno può continuare a credere alla favoletta che ci hanno raccontato nel 2006.
Buona lettura.


ROMA - Parla uno degli uomini di Calciopoli. Parla, racconta, descrive pagine di un libro inedito, svelandoci le “sue” verità. L'idea è che le sue rivelazioni non siano solo un sasso nello stagno ma uno stimolo al dibattito. E su queste colonne chi vuole e vorrà rispondere troverà uguale ospitalità. Intanto, il nostro interlocutore parla (ci dice) per liberarsi da un peso, per sperare che la “sua” verità possa diventare verità storica. Un appuntamento mancato nei dintorni di Firenze, l’attesa attorno all’ora di pranzo, un hotel a fare da coreografia. Viene o non viene? No, non verrà, un contrattempo, all’ultimo momento, perché succede così anche nei film che fanno botteghino. Ma è una parentesi, che si chiude qualche giorno dopo, nel cuore di Roma, un ufficio con vista fra la cupola di San Pietro e il Tevere, mentre intorno brillano le luci di Natale. Si comincia che il sereno del cielo sta per farsi azzurro, si finisce che è notte ed il freddo è tornato pungente. Parla, uno degli uomini di Calciopoli. Non uno qualsiasi, però. Ma uno che, in quell’inchiesta, stava dall’altra parte, dalla parte di chi, quelle indagini, le ha fatte. Un investigatore. Ci qualifichiamo, i documenti sul tavolo, non per mancanza di fiducia, ma per garanzia reciproca. Chiede che il suo nome non venga svelato sul giornale. E poi racconta....

Calciopoli, definito il più grande scandalo del calcio mondiale, nasce da quale inchiesta?
«La cosa degli arbitri, l’inchiesta che stava a Napoli. Da lì poi parte un supplemento di indagini, perchè a Torino avevano archiviato e mandato gli atti... Da questo hanno preso spunto e da lì sono partite varie intercettazioni, all'inizio erano due telefoni controllati, telefonino e telefono di casa...».

Da due telefoni a oltre centosettantamila intercettazioni?
«Si allarga il giro con le telefonate: questo conosceva quello, quello conosceva quell'altro e si iniziano a mettere tutti i telefoni sotto controllo. In un momento uscivano venti numeri di telefono nuovi. Parlavano, parlavano... Parlavano di stupidaggini alla fine, niente di che... Fino a quando si è arrivati a Moggi. Anche se, quando senti il sonoro, quello scherza, quell'altro fa il fenomeno...». 

Lei ascoltava le telefonate?
«Si, sentivo le intercettazioni».

Quanti eravate?
«Dodici, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, in via in Selci. Ma non pensate alle bobine di una volta. Ci sono computer, entri con la password...e ognuno seguiva una singola utenza.. Poi alla fine si faceva una riunione, io ho seguito questo, ho seguito quell'altro e si faceva resoconto».

Ci spieghi una cosa: come mai le telefonate che riguardavano l’Inter non sono entrate nell’inchiesta? Eppure il loro tenore non era diverso da quelle che abbiamo letto, dal 2006 ad oggi...
«Noi facevamo i baffetti: dopo ogni telefonata usavamo il verde se le conversazioni erano ininfluenti, l’arancione se c'era qualche cosettina. Col rosso parlavano di calcio (nel senso, cose che potevano interessare all’inchiesta, ndr). Noi facevamo un rapido riassunto, un brogliaccio. Ogni telefonata aveva il suo brogliaccio, nome cognome e di cosa parlavano, se era interessante.. C'era una cartellina con il nome».

Ha mai intercettato una telefonata dell’Inter? Le ha mai sentite? Sapeva che c’erano?
«Che ci stavano sì, ma io personalmente no. Io facevo altro...».

Ma lei ha mai sentito Bergamo, ad esempio, che parlava con Facchetti. O con Moratti.
«Tu non è che fai sempre gli stessi... Se capita che non ci sei, c'è un altro che ascolta».

Una giornata a sentire le intercettazioni, a mettere i baffetti e scrivere i brogliacci. E poi?
«Tutte le sere si facevano le riunioni a fine servizio. Attorno ad un tavolo».

Ha mai avuto la sensazione di “tagli”?
«No. Che poi c'erano Auricchio (il tenente colonnello del Nucleo Investigativo dei Carabinieri, ndr) e Di Laroni (maresciallo capo dei Carabinieri) che decidevano cosa mettere o non mettere nell'informativa è un altro discorso. Ma durante le riunioni no».

Però alcune intercettazioni non sono finite nell’inchiesta, nelle indagini. Un’anomalia?
«C’erano perché ci sono le registrazioni. La cosa un po’ anomala è il server delle intercettazioni. E’ in Procura, a Roma, a Piazzale Clodio. Quando c’era qualche problema, e capitava spesso, telefonavamo a chi era in Procura: “Guarda, la postazione 15 qui non funziona, che è successo?” “Vabbé adesso controllo....”. Dopo un po’ richiamavano da Piazzale Clodio: “Ti ho ridato la linea, vedi un po’”. Andavi a controllare, magari avevi finito alla telefonata 250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le altre 30? “Me le so perse...”».

Chi contattava il responsabile del server a Piazzale Clodio?
«Non ci parlavamo solo noi, c’era anche il responsabile della sala. Ci parlava Auricchio, ci parlava Di Laroni...».

E’ tecnicamente possibile non intercettare un’utenza sotto controllo per un determinato periodo di tempo?
«Tranquillamente. Tu stacchi il server e la cosa si perde».

Torniamo alle telefonate alle quali avevate messo i baffetti rossi: non sono finite nell’inchiesta.
«Evidentemente non ci dovevano andare, che devo dire.... Non lo so questo. So soltanto che quello che veniva fatto, veniva fatto per costruire. Poi io ti porto il materiale, t’ho portato il mattone ma se tu non ce lo metti, sto mattone..».

Vi hanno detto che l’indagine doveva essere fatta su Moggi, Bergamo, Pairetto, eccetera?
«No, no. Noi eravamo liberi».

Quindi il lavoro di scrematura veniva fatto dopo?
«Sì, nella seconda fase».

Avete mai intercettato le sim estere? Quelle del gestore svizzero, per capirci.
«Quando vai ad intercettare una scheda straniera, in questo caso Svizzera, devi chiedere l’autorizzazione. E loro che cosa hanno fatto? L’hanno chiesta ma, nello stesso tempo, hanno già attaccato il telefono. Ma a quel telefono non parlavano. In quindici giorni, questa scheda, non ha fatto niente».

Di chi era la scheda?
«Di Luciano Moggi»

Non la usava?
«Non faceva niente, telefono muto. E’ come se tu metti sotto (controllo, ndr) questo telefono (e indica il suo, ndr) e poi questo è spento per un mese. Zero. E quindi questa cosa delle schede è stata un po’ accantonata perché poi l’autorizzazione non te la dava nessuno».

Si parlava di anomalie.
«Nel corso di questa indagine sono nate delle cose che inizialmente non c’erano, mentre cose che inizialmente c’erano, non ci stanno più».

Cioè?
«Un esempio di quello che non c’era e si è materializzato nel giro di poco tempo: Martino Manfredi (ex segretario della Can A-B, ndr). Quando l’abbiamo portato in ufficio era morto, era un cadavere, tremava, aveva paura... Diceva: “io non so niente, non ‘è successo niente, ma quando mai... “. E piangeva sul fatto del posto di lavoro... “come faccio... non posso lavorare più, mi devo sposare...”. Dopo un po’ di tempo, sto Martino un giorno è andato a lavorare in Federcalcio.... quando lui ha cominciato ad essere interrogato.... improvvisamente è uscita la storia delle palline. Quella è la cosa che io dico: è lecito e capibile da parte sua, un po’ meno da.... ».

Si può definire un pentito?
«Non lo so. Prima non sapeva niente, poi sapeva tutto, sapeva di questo, di quell’altro, di Pairetto, della Fazi...».

Lei ha detto: cose che inizialmente c’erano, non ci stanno più. Cioè?
«La storia dell’intercettazione ambientale a Villa La Massa, vicino Firenze».

E’ il pranzo che secondo l’accusa rappresenta l’architrave del patto per salvare la Fiorentina. Andrea e Diego Della Valle da una parte, Mazzini e Bergamo dall’altra. Bene, e cosa non c’è più?
«Di questo incontro si è saputo nell’arco di 4, 5 giorni, attraverso le intercettazioni. Il servizio era organizzato con telecamera e microfono direzionale. Se la cosa fosse stata fatta in un locale dove c’era gente e avendolo saputo «Scoppiò una lite tra capi: uno voleva chiudere il caso l’altro no e si andò avanti»un po’ prima, si potevano mettere microspie dappertutto. Invece così, in pochissimo tempo, e non a Roma ma a Firenze, era difficoltoso. Con il microfono direzionale, a cinquanta, cento metri, senti quello che uno dice. E lo filmi con la telecamera. Però sta voce non s’è mai sentita.... Io so che l’hanno sentita... Questa cosa è importante perché là io so che non hanno parlato di niente. Questi qui hanno parlato ma non hanno detto niente di.... Magari pensi che Della Valle abbia detto a Mazzini: “Dai, famme vince, mandami quest’arbitro”, che sarebbe stata una cosa penalmente rilevante. Invece, non hanno detto niente. Ci sono le immagini, Diego e Andrea che scendono dal furgoncino, che si sono incontrati con Bergamo. Hanno dato più rilevanza a questo che non facendo sentire l’audio».

Secondo lei, quindi, l’audio c’è?
«Non secondo me. L’audio c’è».

Sicuro?
«Sicuro».

La difesa della Fiorentina, durante il processo, ha puntato proprio sulla presunta esistenza di quest’audio...
«La Fiorentina evidentemente qualcosa ha saputo... E’ come il fatto del “Libro nero” (dell’Espresso, ndr), cioè, sto libro nero da là è uscito, non è un foglio, è tutta l’informativa e qualcuno l’ha data all’Espresso. Quindi i buchi ci stanno. Della Valle qualcosa sa».

Come funziona un’intercettazione ambientale con il microfono direzionale?
«E’ una valigetta, c’è un microfono che somiglia ad una specie di pistola con una parabola. La punti verso il soggetto....Ma da quel giorno non s’è saputo più nulla di questa cosa qua...».

Ricorda altre situazioni poco chiare?
«No, a queste ho sempre pensato. E mi dico: perché uno deve passare i guai, per che cosa? E quell’altro, perché deve andare dentro? Moralmente ti pesa, dopo un po’ ti dici: mamma mia».

Tra quelli che sono stati condannati in primo grado, quali sono quelli che pagano troppo o ingiustamente?
«Io dico la verità, la maggior parte. Cioè, è una cosa fatta, forzata un po’, ci stava la telefonata, però se vai a vedere effettivamente le partite, partite veramente truccate, dove l’arbitro è stato veramente coinvolto. Non ci sono. Non c’è la partita dove si dice: adesso li abbiamo beccati. Si era parlato di questo è Lecce-Parma, di De Santis, quella di “mi sono messo in mezzo”. E’ una spacconeria, quello voleva fare il fenomeno».

Sì, ma sono state condannate tante persone. Lei, invece, parla di spacconate: qualcosa non torna...
«Secondo me, di veramente importante, che uno deve prendere cinque anni, sei anni, non ci sta niente. Poi magari pensi all’eccessivo modo spavaldo di Moggi che può dare anche fastidio, questo ci può stare, quello è il periodo in cui era prepotente, arrogante. Ma da lì ad arrivare a.... Bisognava dimostrare che c’era un’associazione. Lui, solo lui (Moggi, ndr) fa l’associazione? Così è un’altra cosa... E’ una questione di prestigio, di carriera».

Ma l’hanno fatta tutti, la carriera?
«Mica tanto: Auricchio e Arcangioli stanno alle scuole.... non è che so stati proprio premiati....Uno alla scuola Ufficiali, uno alla scuola Allievi...».

Non ricorda niente altro di particolare. Non necessariamente di anomalo. Magari anche solo di curioso.
«Mi hanno raccontato di alcune cenette: Auricchio, Arcangioli, Narducci, anche altri personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli. In qualche caso, mi sono chiesto che importanza poteva avere andare a mangiare con Narducci. Sono andati a cena a Napoli, di fronte al Vesuvio, a Castel dell’Ovo... da Zi’ Teresa. E non c’erano solo gli investigatori».

Ha detto che non c’era nulla di penalmente rilevante: c’è stato qualcuno che, ad un certo punto, ha avuto dubbi sul peso dell’indagine, sulla necessità di continuare ad andare avanti?
«Sì, Arcangioli. Disse: basta. E lì è nato lo scontro con Auricchio, arrivarono ai ferri corti».

Quindi voleva stoppare l’indagine perché debole?
«Sì, Arcangioli sì. Erano impegnate quindici, venti persone per questa cosa qua. E l’autista; e quello che deve andare di continuo a Napoli. Non era cosa... In una sezione di sessanta persone, ne levi quindici, le altre fanno tutto il lavoro».

Qualche pentito c’è stato?
«No».

In via in Selci (è la sede del Nucleo Investigativo dei Carabinieri), dove si sono svolti gli interrogatori, sarebbero successe due cose: una che Moggi si mise a piangere e l’altra che l’ex arbitro Paparesta accusò un malore: verità o leggenda?
«Non è vero».
Edmondo Pinna

E questa sarebbe Piazza Pulita?

Stasera mi è capitato di vedere l'ultima parte di Piazza Pulita, programma in onda su La7 condotto da Corrado Formigli. C'erano ospiti, tra gli altri, Oliviero Beha, Vittorio Feltri e Luciano Moggi. Si parlava di calcioscommesse e più in generale di scandali nel calcio. Un classico calderone televisivo nel quale Formigli si è mosso con scarso successo, passando dall'ultimo scandalo scommesse a calciopoli, da Cristiano Doni a Luciano Moggi senza nessun sensato passaggio logico, se non quello di mettere tutti sullo stesso piano: il piano dei colpevoli.
A un certo punto Formigli, che era evidentemente poco preparato in materia, ha mandato un pezzo di un documentario-fiction su calciopoli (costruito sulla tesi dell'accusa) che La7 produsse un paio d'anni fa. Tesi vecchie stravecchie di accusa contro Moggi: addirittura si è riparlato della storia - ormai da un pezzo diventata leggenda - dell'arbitro Paparesta chiuso negli spogliatoi, e sono state rispolverate intercettazioni Moggi-Biscardi. Per un attimo ho pensato di essere tornato all'estate 2006. Sicuramente Corrado Formigli non si è più aggiornato sull'argomento da allora. Ascoltando la trasmissione ho sentito un certo disagio, gli applausi a favore di Formigli sono stati imbarazzanti, come il clima che c'era in studio. Tanti ospiti, tante banalità, nessuna sostanza. Beha a un certo punto stava facendo un discorso interessante su calciopoli ed è stato subito interrotto dal conduttore che ha riportato la trasmissione nel grigio più cupo. Moggi, in collegamento, si stava difendendo dalle vecchie, ormai scontate accuse e quasi gli veniva tolta la parola. Altro che Piazza Pulita.

P.S. Il commento è riferito solo a quello che ho visto stasera, anche perché era la prima volta che guardavo questa trasmissione.

sabato 17 dicembre 2011

Lo strano destino del tavolo della (non) pace

Calciopoli è una vicenda che fa acqua da tutte le parti e che ha prodotto troppi effetti negativi per poter essere superata con le semplici parole e le buone intenzioni. Soltanto i giudici e i tribunali possono far voltare pagina al calcio italiano. Ma anche dopo le sentenze definitive resteranno a lungo veleni e vecchi rancori.

Alla fine il tavolo della pace è miseramente fallito. Nessuna pace e nessuna tregua, tutto andrà avanti come prima. Come ha ammesso lo stesso presidente del Coni Petrucci: «Passi in avanti non ce ne sono stati: la buona volontà non è stata premiata».
Cosa si siano detti con precisione i nove presenti al tavolo non è dato saperlo. Si sa però - lo ha svelato Ruggiero Palombo sulla Gazzetta dello Sport - che a un certo punto Petrucci ha tirato fuori un documento da far firmare alle parti. Un comunicato che, se firmato, avrebbe rappresentato un passo decisivo in direzione della pace. Secondo Tuttosport la parte più significativa di tale documento recita così: «...Convinti che il fenomeno chiamato Calciopoli - contraddistinto da comportamenti deliberati o solo indotti dal clima di quel periodo e a prescindere dalle sentenze e dalle decisioni sin qui assunte dagli organi competenti - rappresenta nel suo insieme il periodo più oscuro nella storia del calcio italiano considerato che gli stessi organi federali di allora seguirono le logiche condizionate dal momento, adottando in qualche caso provvedimenti che in circostanze diverse e con analisi più complete e approfondite, avrebbero potuto avere forme e contenuti differenti».
Il documento ovviamente non è stato firmato da nessuno ed è diventato carta straccia. Se è infatti vero che tra le righe si può leggere una prima parziale ammissione da parte del Coni degli errori commessi dalla Figc nell'estate 2006, è anche vero che il linguaggio in cui è stato scritto rientra in pieno nel politichese, come non ha mancato di sottolineare il patron della Fiorentina Diego Della Valle. Il quale è stato il più fermo ed intransigente nel voler fare chiarezza su ciò che accadde davvero nell'estate 2006 e nel chiedere una revisione degli eventi per portare a galla la verità. Durante il tavolo avrebbe detto a Petrucci: «Noi vogliamo sapere perché siamo finiti in Calciopoli. Chiuderemo questa storia quando verranno riconosciute le nostre ragioni». E oggi Della Valle è passato dalle parole ai fatti, denunciando l'allora commissario straordinario della Figc Guido Rossi: «Ho conferito mandato ai miei legali di agire, nelle sedi competenti, nei confronti dell'allora Commissario Federale Guido Rossi e di altri per la gestione assunta dagli stessi durante il processo sportivo di Calciopoli celebrato nell'estate 2006. Le azioni legali - si legge nella nota - verranno avviate per censurare i comportamenti assunti dagli stessi nella gestione del processo sportivo». Non c'è dubbio che, almeno in questa fase, la posizione dei Della Valle e della Fiorentina su calciopoli è quella più chiara e coerente.

Restano poi alcune domande su questo tavolo della pace. Cosa ci faceva il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis? Ai tempi di calciopoli il Napoli era in serie C, e la società partenopea non venne neanche sfiorata dallo scandalo. La Stampa riporta che lo stesso De Laurentiis, dopo avere osservato il suo scarso coinvolgimento nel dibattito, si sarebbe lasciato sfuggire la frase: «Ma cosa ci sto a fare io...». Allora perché invitarlo? Perché non far sedere invece al tavolo Guido Rossi, commissario straordinario della Figc durante calciopoli e responsabile di scelte pesantissime, come quella di riassegnare lo scudetto 2005/2006 all'Inter (con la motivazione, ormai diventata una barzelletta alla luce delle nuove intercettazioni, di società simbolo di giustizia e onestà)? In sostanza: con quale criterio il Coni ha scelto gli invitati?
Doveva produrre una pace ma ha finito per produrre nuove domande. Strano destino quello del tavolo della (non) pace.

martedì 13 dicembre 2011

Grazie Luciano!


Sono davvero contento e stupito di aver visto citato questo blog nell'articolo di Luciano Moggi pubblicato oggi su Libero. Grazie Luciano!

Chi volesse leggere l'articolo in questione compri Libero di oggi, oppure clicchi qui.

domenica 11 dicembre 2011

Tavolo della pace o via di fuga?

Il tanto atteso "tavolo della pace" - come è già stato battezzato, forse prematuramente o forse no, dalla stampa sportiva - si sta avvicinando. L'incontro si terrà mercoledì prossimo ed è stato fortemente voluto dal presidente del Coni, Gianni Petrucci. Su invito del Coni stesso, si siederanno davanti al tavolo i principali protagonisti di Calciopoli: oltre a Petrucci stesso, ci saranno Pagnozzi (segretario generale del Coni), Abete (presidente della Figc), Andrea Agnelli (presidente della Juventus), Moratti (presidente dell'Inter), Diego Della Valle (presidente della Fiorentina), Galliani (amministratore delegato del Milan), De Laurentiis (presidente del Napoli) e Valentini (direttore generale della Figc). Obiettivo del tavolo: trovare un punto d'intesa per superare definitivamente calciopoli. Sono passati più di cinque anni dall'estate 2006, ma le polemiche non accennano a placarsi e il tavolo si è posto la mission impossible di azzerare tutto e far ripartire il sistema. E' scontato dire che le intenzioni sono lodevoli, ma con quali mezzi il Coni pensa di raggiungerle? Il dialogo, le semplici parole possono chiudere questa vicenda così complessa?

Guardiamo il tavolo da una prospettiva particolare, quella del presidente Agnelli. Cosa pensa o spera di ottenere Agnelli il 14 dicembre? Perché ha accettato senza la minima esitazione la proposta del presidente del Coni Petrucci? Quando nell'aprile 2010 Agnelli diventò presidente al posto di Blanc, la Juventus sembrò cambiare drasticamente strategia su calciopoli. Sembrava, anche perché Agnelli lo diceva a chiare lettere, che la Juventus avesse alla fine deciso, con una ritardo di quattro anni, di iniziare a difendere se stessa dalle pesantissime accuse che le furono rivolte nel 2006. Tuttavia, oggi possiamo dire che queste impressioni erano probabilmente sbagliate e che probabilmente quelle di Agnelli erano solo dichiarazioni volutamente ostentate da dare in pasto agli ultras bianconeri, affamati di prendersi le loro rivincite dopo gli anni horribilis post calciopoli. Ci sono in effetti molte cose che non tornano nelle scelte difensive della Juventus di Agnelli.
Prima considerazione. Perché la Juventus ha scaricato Luciano Moggi (ma poi non lo aveva già scaricato?, che bisogno c'era di ribadire il concetto?) con quel comunicato sul proprio sito ufficiale, pubblicato immediatamente dopo la sentenza di primo grado al Processo di Napoli? Aldilà dei buoni propositi - come quello di riavere almeno uno di quei due scudetti - come pensa Andrea Agnelli di raggiungerli se non cercando di risollevare la posizione di Luciano Moggi, principale imputato ed ex dipendente della Juventus? Il processo di secondo grado potrebbe ribaltare la prima sentenza - gli elementi per questo capovolgimento ci sono - ma Moggi avrebbe bisogno di trovare un alleato forte come la Juventus. Ma a quanto pare Agnelli e suo cugino Jaki non hanno alcuna intenzione di schierarsi con l'ex ferroviere di Civitavecchia. Perché?
Seconda considerazione. La stessa scelta di Andrea Agnelli di sedere al tavolo della pace è francamente difficile da capire, se pensiamo che solo qualche settimana fa la Juventus ha chiesto oltre 400 milioni di danni all'Inter e alla Figc per i comportamenti nelle vicende di Calciopoli dal 2006 al 2011. Figc e Inter che saranno ovviamente presenti e protagoniste al tavolo della pace. Non sembrano queste le migliori condizioni per intavolare una trattativa di pace, e neanche per iniziare una tregua. A meno che...

A meno che le parti in causa non siano disposte a cedere davvero qualcosa e a venirsi incontro. Dubito che queste concessioni possano arrivare da Moratti, che è sempre stato molto rigido sulla sua posizione di "uomo perbene", che non deve chiedere scusa a nessuno, perché è lui la vera vittima di tutta questa vicenda. Impossibile immaginare che Moratti sia disposto a restituire lo scudetto di cartone. Stesso discorso per la Figc, che non ha mai ammesso e mai ammetterà - salvo clamorosi sviluppi - che quel processo sportivo dell'estate 2006  fu un processo sommario. Mai ammetterà - direbbe Mughini - che nel 2006 trionfò il bar dello sport.
Molto più probabile che sia lo stesso Agnelli ad addolcire i toni e a spingere per trovare un punto d'intesa. Spesso ci si dimentica che Agnelli è il presidente ma non la proprietà, e che chi decide in fondo è la proprietà, vale a dire chi mette i soldi. Forse tutti i buoni propositi di Agnelli erano solo un bluff, e forse il tavolo della pace è un occasione per venire fuori da questa finzione nel modo meno appariscente possibile. Poco importa se la Juventus uscirà a mani vuote. E' un tavolo della pace ma forse è una via di fuga. Mercoledì sapremo.

martedì 6 dicembre 2011

Il ritorno della Juve fa bene al calcio italiano


Non è un caso che il calcio italiano stia rialzando la testa proprio nel momento in cui la Juventus sta finalmente ritrovando se stessa. E' inutile nascondersi che dopo la vittoria del mondiale 2006 l'intero movimento calcistico italiano ha vissuto un momento molto difficile, non tanto dal punto di vista dei risultati delle squadre di club, quanto dal punto di vista della crescita di una nuova generazione di talenti nostrani. Dopo la generazione d'oro dei Maldini, Cannavaro, Totti, Del Piero, Montella, Vieri, Inzaghi (e chi più ne ha più ne metta) l'Italia del calcio ha smesso di produrre giocatori all'altezza. Una frenata brusca, difficile da spiegare e sicuramente non riducibile a una sola causa.
Quello che si può notare però è che la grande crisi del movimento calcistico italiano è coincisa con la crisi nera della Juventus post calciopoli. E non è certo una coincidenza casuale, se pensiamo che la Juve, per tradizione e storia, è sempre stata una squadra con una forte identità italiana, e che ha sempre dato moltissimi giocatori alla nostra nazionale. Per la famiglia Agnelli la Juve era un pezzo del Paese, e un'immagine dell'Italia nel mondo da valorizzare a tutti i costi. Certo, alla Juve sono passati e hanno fatto la storia anche grandi campioni stranieri, da Sivori e Charles, a Platini, Nedved e Trezeguet. Ma ogni squadra vincente aveva sempre un'anima italiana. E così, anche oggi, la Juve ha iniziato un nuovo progetto basato sulla valorizzazione del prodotto nostrano. Il ritorno di Buffon, l'esplosione definitiva di Barzagli, il rilancio di Pirlo, la crescita esponenziale di Marchisio e Matri stanno ricaricando la Juve e il calcio italiano. D'altronde la storia della Juventus è sempre stata vicina e intrecciata a quella dell'Italia. Marotta e Agnelli hanno fatto bene a proseguire questo percorso, e anche i risultati parlano chiaro.
Adesso che quel ciclo si è chiuso possiamo dirlo: gli anni post calciopoli sono stati dominati dall'Inter. Quell'era si è chiusa il 22 maggio 2010, quando l'Inter ha alzato la Coppa dalle grandi orecchie al Bernabéu, nell'ultima partita del biennio Mourinho. In quella partita l'Inter non aveva un solo giocatore italiano in campo. Certo, era un'ottima squadra con un grandissimo allenatore. Ma non dava niente al calcio italiano. Ecco perché il ritorno della Juve è un bene per tutti.