lunedì 31 ottobre 2011

Forza Antonio!

Mando un abbraccio ad Antonio Cassano. Forza Antonio, guarisci presto che ti vogliamo vedere presto in campo!

domenica 23 ottobre 2011

Coraggio Antonio!


Si diceva che Conte avrebbe portato un gioco ultraoffensivo. Si raccontava del suo 4-2-4 come se si stesse parlando del Brasile di Pelè. "Giocheremo con 4 attaccanti, i due esterni saranno due attaccanti aggiunti", è stata una delle frasi più gettonate dell'estate juventina. E invece.
E invece succede che dopo 7 partite - 3 vittorie e 4 pareggi - ci stiamo accorgendo che la realtà è molto distante da come ce la immaginavamo. Ieri col Genoa, dopo che la Juventus era tornata in vantaggio con il secondo gol di Matri, Conte ha deciso di togliere Estigarribia, un'ala offensiva, per mettere Pazienza, un centrale di centrocampo. Il 4-4-2 (non chiamiamolo 4-2-4 per favore) si è traformato in un 4-5-1, con Vucinic e Pepe sugli esterni e Marchisio, Pazienza e Pirlo a fare i centrali, con Matri unica punta. Altro che Brasile anni '60! Conte sta confermando la migliore tradizione calcistica italiana: squadra che vince si copre e riparte. A Verona col Chievo - la partita precedente - la Juve aveva giocato 80 minuti con una sola punta. Solo negli ultimi 10 minuti, con l'ingresso di Del Piero, la squadra si era schierata con due punte, e a quel punto aveva rischiato seriamente di vincere la partita.
Riconosco a Conte di avere tra le mani un compito difficile. Se escludiamo Buffon, Pirlo e Del Piero oggi nella Juventus non c'è nessuno che ha alzato un trofeo in carriera. Manca esperienza e mi rendo conto che c'è bisogno di tempo. Quello che rimprovero a Conte è di avere smarrito negli ultimi tempi quel coraggio e quell'energia che lo hanno sempre contraddistinto, e che poi sono il motivo per cui la società lo ha scelto per ripartire dopo due annate complicate. La Juventus non può giocare come una provinciale, e a maggior ragione non può farlo davanti ai propri tifosi contro una squadra di media classifica. Passare in vantaggio col Genoa e a quel punto coprirsi (quando manca più di mazzora alla fine), sperando magari di colpire in contropiede - non è da Juve. Lippi diceva: «Ragazzi noi non andiamo in campo per vincere. Noi andiamo in campo per stravincere». So che erano altri tempi e so che era un'altra Juventus. Ma se si vuole tornare grandi, la strada è quella. Forza e coraggio Antonio!

(Ciao Sic, ci mancherai)

martedì 18 ottobre 2011

Andrea Agnelli cancella 18 anni di Juve

Oggi si è raggiunto il fondo. Mai avevo sentito un dirigente bianconero - e qui si parla del presidente in persona, Andrea Agnelli - attaccare in questo modo il giocatore simbolo della juventinità, Alessandro Del Piero. L'uomo che da oltre 18 anni fa la storia della Juventus. L'uomo che è sceso in serie b dopo aver vinto un mondiale. Uno che ha dato tutto per la Juventus, senza spesso avere in cambio la stessa moneta. Ecco dunque le parole di Agnelli nel discorso di apertura dell'assemblea degli azionisti: «Questo sarà l'ultimo anno di Del Piero alla Juve. Era negli accordi l'aveva detto Alessandro per primo che quello di maggio sarebbe stato l'ultimo contratto con la Juve. Da parte nostra è stato un giusto tributo a quello che il capitano ha rappresentato per la storia della Juventus».
Non sono un dirigente sportivo, sono solo un ragazzo di 22 anni che segue questo sport da parecchi anni. E certe logiche oramai le capisco. Come certi messaggi tra le righe. A partire da quello che Agnelli cerca di far passare (in modo vigliaccamente subdolo) quando dice che «l'aveva detto Alessandro per primo che quello di maggio sarebbe stato l'ultimo contratto con la Juve. Da parte nostra è stato un giusto tributo a quello che il capitano ha rappresentato per la storia della Juventus». Si parla dell'ultimo rinnovo di contratto definendolo un "giusto tributo a quello che il capitano ha rappresentato per la storia della Juventus". Tributo di cosa? Forse Andrea si dimentica che negli ultimi 5 anni Del Piero ha sempre chiuso la stagione da capocannoniere della squadra? Si dimentica che anche nell'ultima disastrosa stagione è stato uno dei pochissimi a salvarsi, segnando gol decisivi e trascinando la squadra sulle proprie spalle nei momenti più difficili? Si dimentica che non ha mai fatto alcuna polemica personale in oltre 18 anni di Juve? Si dimentica che Del Piero si è sempre guadagnato tutto sul campo a suon di gol e prestazioni di alto livello? Si dimentica di tutto questo? Nessuno ha mai regalato nulla a questo grande giocatore, definire l'ultimo rinnovo un tributo alla sua storia è profondamente offensivo per quello che è stato, è, e sarà Alessandro Del Piero.
Che Del Piero non fosse esattamente nelle simpatie del presidente Agnelli era già chiaro dalla scorsa stagione, quando Agnelli aspettò diversi mesi prima di proporgli e fargli firmare il rinnovo di contratto. Si pensava che il rinnovo arrivasse a gennaio, ma arrivò il 5 maggio. A fine stagione insomma, poco prima che scadesse il contratto a giugno. Un'attesa interminabile e senza senso, che contribuì solo ad alimentare un'inutile e dannosa polemica, sempre opportunamente stemperata dalle dichiarazioni mai fuori dalle righe del Capitano. Ma il silenzio della società fu imbarazzante e carico di significato. Oggi purtroppo è arrivata la conferma di questo atteggiamento stupidamente ostile di Andrea Agnelli nei confronti di Del Piero. La motivazione di questo suo rancore non la so, e credo non la sappia nessuno tranne lui (Agnelli) e qualcuno che gli gira intorno. Ad ogni modo qualunque essa sia, è una motivazione stupida. Mi limito a constatare che Agnelli ha fatto questa sparata durante l'assemblea degli azionisti, nella quale è stato annunciato un buco di bilancio di 95 milioni di euro. Notizia ovviamente passata in secondo piano dopo le dichiarazioni su Del Piero. Vuoi vedere che che Agnelli ha trovato il modo per distogliere l'attenzione dalla cattiva gestione sportivo-economica degli ultimi anni? Come si dice: a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

Nel precedente post parlavo di tifosi con la memoria corta. Bene, questo è molto peggio. Si parla del presidente della Juventus, di una figura che dovrebbe rappresentare noi juventini e il nostro orgoglio juventino. E invece cade in discorsi fuori luogo, fatti in tempi sbagliati, offensivi verso l'unica bandiera che oggi noi tifosi bianconeri possiamo ancora sventolare, Alessandro Del Piero. Purtroppo dopo Moggi e Giraudo la Juventus non ha più avuto dirigenti degni di essere chiamati con questo nome. Lo dico con profonda amarezza. E proprio Moggi si esprime così sulla vicenda: «L’uscita di Agnelli su Del Piero non l’ho capita. Alessandro quando gioca è uno che dà sempre fastidio alle difese e tecnicamente è ancora il migliore. E’ un gioco a farsi male, si sta facendo di tutto per demotivare il giocatore. La società avrebbe dovuto dire queste cose a marzo o aprile, non ora. Non c’entrava nulla fare queste dichiarazioni adesso, non ho capito quest’uscita e chi ha suggerito Agnelli e lo stesso presidente hanno fatto un errore terribile. Il modo in cui si liquida un giocatore che ha dato tanto alla Juventus è sbagliatissimo. Ognuno si comporta come crede, se Agnelli ha detto così probabilmente avrà parlato giù con i cugini (la famiglia Elkann). Sono convito che Del Piero possa dare ancora molto. Conoscendolo non si tirerà indietro, ma senza dubbio sarà demotivato».

Voglio concludere il post riprendendo le ultime parole del grande Luciano Moggi: «Conoscendolo non si tirerà indietro, ma senza dubbio sarà demotivato». Credo di essere uno dei tifosi più fedeli di Del Piero, uno di quelli che è sempre stato dalla sua parte, anche e soprattutto nei momenti più negativi. Ho sempre creduto in questo meraviglioso giocatore. E posso dire che Moggi ha detto solo parole sacrosante sulla vicenda, ma credo che nell'ultimo passaggio si sbagli. Le dichiarazioni di Andrea Agnelli butterebbero giù quasi tutti, ma non lui. Quantomeno non il Del Piero di oggi, che di situazioni così ne ha vissute oramai parecchie. Certo, sarà molto amareggiato. Dopo tutti questi anni - e dopo tutto quello ha dato alla Juventus - essere trattato così deve essere profondamente frustrante. Ma sono convinto che stia già meditando la sua rivincita. Non a parole, quelle le lascia agli altri. Risponderà sul campo. Come ha sempre fatto. Come sempre farà. Disse una volta Diego Armando Maradona, dopo avere assistito a una storica doppietta del Capitano (al tempo quasi trentaquattrenne) al Bernabeu, il tempio del calcio: «Certo che Del Piero non finisce veramente mai!». Vuoi vedere che questa frase la sentiremo di nuovo a breve?

domenica 16 ottobre 2011

Tifosi con la memoria corta


Su alcuni siti sportivi sto leggendo diversi commenti di tifosi juventini che dicono che il tempo di Del Piero è finito e dovrebbe lasciare spazio agli altri. Allora voglio dire una cosa a questi pseudo tifosi della vecchia signora.
Del Piero non ha mai creato un solo problema di spogliatoio. Sono anni che periodicamente deve fare i conti con la panchina, eppure non si è mai lamentato pubblicamente di questo. Col Milan non ha giocato un solo minuto, eppure so quanto ci tenesse a scendere in campo anche solo per venti minuti. Però non ha fatto una polemica, neanche una. Anzi, si è congratulato pubblicamente per la prestazione della squadra. I giornalisti tempo fa dicevano che non sapeva accettare la panchina, ma lui non ha mai fatto polemiche pubbliche per questo. Certo, come tutti vuole giocare, ma sarebbe un problema se non volesse giocare. Non gli ho mai sentito dire davanti a un microfono una frase stonata, anche quando le cose non giravano a suo favore. Si è sempre comportato da vero Capitano, ha sempre rispettato le logiche del gioco di squadra, non ha mai fatto prevalere le sue esigenze rispetto a quelle del gruppo. Non ha mai fatto sceneggiate per una sostituzione, come invece capita spesso a Roma, dove tutto è concesso (o almeno lo era prima dell'arrivo degli americani) a un solo giocatore (indovinate chi). Negli ultimi cinque anni Del Piero ha sempre chiuso la stagione da capocannoniere della squadra. Nelle ultime due disastrose stagioni della Juventus è stato uno dei pochissimi a salvarsi. Per questo quando leggo certe critiche (farei meglio a chiamarli attacchi privi di ogni senso) contro Del Piero - fatti oltretutto da juventini (pseudo juventini?) - provo un certo disgusto. Sarebbe interessante approfondire la psicologia di certi tifosi - probabilmente lo hanno già fatto - che sembrano costantemente immersi nel presente, perdendo ogni riferimento temporale e qualsiasi capacità di contestualizzazione. Quando lo scorso marzo Del Piero segnò un gol meraviglioso e decisivo al Brescia, si sprecarono le lodi nei suoi confronti. Adesso che manca l'appuntamento col gol da un po' di tempo, si ricomincia  a dire che deve ritirarsi e lasciare spazio ai giovani. Beh, oramai dopo tanti anni che si ripetono questi discorsi, ci rido anche un po' su. D'altronde nel calcio italiano non c'è mai stato equilibrio nelle valutazioni, è sempre tutto bianco o nero. Non c'è voglia di aspettare e non c'è interesse (o capacità, non so) di fare un'analisi che vada oltre la situazione presente. Tutto è ora e soltanto ora. Ieri non esiste più.
Lunga vita al Capitano.

sabato 15 ottobre 2011

Aspettando Superpippo


Ci sono dei momenti, nella vita di un atleta (e di un uomo), in cui l'unica cosa giusta da fare è lavorare e aspettare. Aspettare che arrivi il momento buono per raccogliere i frutti del proprio lavoro. Si fa una scommessa, si mette in gioco il proprio lavoro sperando che un giorno venga ripagato. Con la consapevolezza che quel giorno potrebbe non arrivare mai.

Confesso che la mia stima e considerazione per Pippo Inzaghi è maturata solo dopo la sua partenza dalla Juventus. Ai tempi in cui giocava con la maglia bianconera non provavo alcuna simpatia per lui: a dire il vero non lo sopportavo proprio! Il suo modo egoista di giocare a pallone mi innervosiva. Ricordo ancora che in una partita contro il Venezia - finita 4-0 per la Juventus - riuscì letteralmente a scippare due gol fatti a Del Piero, che in quel periodo faticava non poco a segnare su azione e per lui sarebbe stato importante sbloccarsi. Ma Inzaghi non è mai stato sensibile a questo tipo di discorsi. Ha un modo abbastanza egocentrico di interpretare il calcio. Lui è così, prendere o lasciare. 
Eppure, col passare degli anni, la mia stima nei suoi confronti è aumentata molto. Lo scorso anno - quando entrò a trenta minuti dalla fine e segnò due gol contro il Real Madrid, rincorrendo come un matto ogni giocatore avversario che avesse la palla tra i piedi - fu uno spettacolo incredibile. Vedere un trentasettenne che ha già vinto tutto e segnato valanghe di gol dannarsi l'anima per dimostrare di non essere ancora finito è una cosa rara nel mondo del calcio di oggi. Anzi, a dire il vero, non avevo mai visto una carica del genere in un giocatore della sua età. Inzaghi ha una passione per quello che fa decisamente fuori dal comune, ci mette l'anima. E in campo si vede. Per questo lo apprezzo.

Era il 20 ottobre 2010 quando Superpippo realizzò la sua storica doppietta al Real. Venti giorni dopo, nella partita contro il Palermo, la rottura di crociato e menisco del ginocchio sinistro spalancò le porte al ritiro, alla fine della sua gloriosa carriera. A 37 anni un infortunio così è duro da superare. Ma Pippo si è rimesso in gioco. Scegliendo di continuare e di rimanere al Milan, consapevole di tutti i rischi e le difficoltà cui sarebbe andato incontro facendo questa scelta. Sapendo di avere davanti Ibra, Pato, Cassano e Robinho. Sapendo, in sostanza, di essere il quinto attaccante nei piani di Allegri. Lo ha fatto perché è molto legato al Milan, ma soprattutto per giocare ancora la Champions League e provare a superare di nuovo Raùl come miglior marcatore delle coppe europee. Allegri gli ha dato un'altra mazzata, escludendolo dalla lista Champions della prima fase, quella a gironi, però ha già fatto capire che lo reinserirà nella lista, se il Milan dovesse approdare agli ottavi. Nella fase eliminatoria, quindi, Inzaghi ci sarà.
E lui continua a lavorare in silenzio, lontano dai riflettori (da quant'è che non parla alla stampa?!), per prendersi un'altra - forse l'ultima - grande soddisfazione della sua carriera. Aspettando quella notte di Champions in cui Allegri si affiderà di nuovo a lui, a Superpippo. Sperando che quella notte arrivi davvero.

domenica 9 ottobre 2011

E' più italiano un leghista o un oriundo?

«La convocazione di Osvaldo nella nazionale italiana certifica il fallimento definitivo della politica della Figc. Il progetto di Cesare Prandelli, che avrebbe dovuto portare i nostri giovani talenti a vestire la maglia azzurra, si sta trasformando in una pensione per oriundi». E' deprimente sentire certi discorsi ancora oggi, nel 2011. A maggior ragione se provengono da persone che ci dovrebbero rappresentare. L'autore di questo magnifico e profondo discorso è chiaramente un leghista, tale Davide Cavallotto, deputato che, a quanto pare, nel tempo libero si diletta a fare il fanta-selezionatore della nazionale italiana. Con scarso successo peraltro.
E' davvero scoraggiante notare come nel nostro Paese ogni cosa, ogni piccola e insignificante cosa, riesca a diventare argomento per ingaggiare polemiche futili e dannose, buone solo a disperdere energie che sarebbero molto preziose, soprattutto in un momento come questo, per risolvere ben altri problemi. So bene che la migliore risposta a questo tipo di provocazione è non rispondere, ma stavolta non ce la faccio. Entro nella polemica.

Signor Cavallotto, non so se lei è a conoscenza del fatto che la Cina detiene oggi il 4% del nostro debito pubblico, il 10% di quello americano, e complessivamente il 7% di quello dei membri dell’Eurozona, Piigs in testa (i cosiddetti maiali: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna). Il rischio di un default prossimo futuro dell'Italia autorizza molti a pensare che Pechino sia in trattativa per acquistare fino al 10% del nostro debito pubblico. La Cina, ovviamente, fa tutto questo perché ha interesse a farlo. Non compra il debito pubblico senza avere nulla in cambio, questo lo saprà. Lo fa innanzitutto perché la sua industria vive di export, e se crolla il mercato italiano è un grande danno economico anche per la Cina. Ma lo fa anche per inseguire quel disegno egemonico che le è tanto caro. Sa, pare che in cambio della cartaccia su cui sono stampati i nostri titoli, vorranno cose reali, concrete e di valore, a partire dalle nostre imprese pubbliche più importanti. In parole povere: acquistando tali titoli il Governo darebbe ai cinesi il via libera per l’acquisto di azioni nelle grandi aziende italiani (Eni ed Enel il prima fila). Vendiamo pezzi del nostro Paese alla Cina per evitare il fallimento. Ma lei di questo non si preoccupa. Lei non si preoccupa di trovare un modo migliore per risolvere l'enorme problema del debito pubblico italiano che non rassegnarsi (e consegnarsi) all'invasione cinese. Che gliene importa di frenare l'espansione cinese nel nostro Paese? Lei si preoccupa di frenare l'invasione dei giocatori stranieri nella nostra Nazionale. Come non capirla. La Nazionale di calcio sta aprendo le porte ai giocatori che non sono nativi della nostra penisola. Deve essere una cosa davvero terribile!
Pensi che la Nazionale di calcio tedesca ha portato al mondiale in Sudafrica 23 atleti, di cui addirittura 11 hanno radici all'estero, con 8 Paesi rappresentati, che salgono a 9 se si include anche la Germania. Più della metà dei giocatori, inoltre, sono nati fuori dai confini tedeschi oppure hanno almeno un genitore non-tedesco. Tra gli uomini di Joachim Loew - selezionatore tedesco - si mescolano polacchi, bosniaci, spagnoli, ghanesi, nigeriani, tunisini e turchi.  Penserà poverini questi tedeschi!. Ma la voglio tranquillizzare: la nazionale tedesca è una delle nazionali più divertenti, gioca un calcio moderno, veloce, di squadra. Non sono falliti, mi creda. Sono semplicemente in sintonia con i tempi. Signor Cavallotto, siamo nel 2011.

E poi, parliamoci chiaro, il concetto di nazionalità è molto delicato e si presta a molte interpretazioni. Personalmente trovo riduttivo ricondurlo al solo luogo di nascita. Si è italiani non perché si è nati in Italia - o perlomeno non solo perché si è nati in Italia - ma perché ci si sente italiani. E a volte le due cose non coincidono. Oggi Osvaldo, nella sua prima conferenza stampa azzurra, ha risposto a Cavallotto dicendo di essere più italiano lui, che ha moglie e figli italiani, rispetto a certi politici. Come dargli torto...

P.S. In fondo alla pagina trovate il contatore del debito pubblico italiano. Penso sia uno strumento utile per chi vuole toccare con mano la gravità del problema. Il contatore è stato creato dall'Istituto Bruno Leoni, e lo potete scaricare gratuitamente dal loro sito web: http://www.brunoleoni.it/

Chi porta la borraccia

Tutte le grandi squadre hanno almeno un grande campione. Un giocatore capace di cambiare la partita, il corso dell'evento da solo. Si parla e si discute sempre molto di questi giocatori: la stampa, le televisioni e in generale l'attenzione mediatica è quasi sempre rivolta verso di loro. Ed è giusto che sia così, perché sono questi i giocatori per cui la gente paga il prezzo del biglietto, sono loro che accendono la fantasia e le speranze dei tifosi. E' giusto che si parli di loro.
Ma nella storia dello sport non c'è mai stata una squadra che abbia vinto senza l'aiuto dei gregari. Se non c'è chi suda e corre per gli altri, la squadra non può funzionare. Il Real Madrid in passato ha commesso l'errore di costruire squadre con troppi campioni, e troppi pochi gregari. E alla fine non trovava mai gli equilibri giusti. Nel ciclismo, Lance Armstrong non avrebbe mai vinto 7 Tour de France consecutivi se non avesse avuto una squadra formidabile su cui contare. Nella Formula Uno il secondo pilota è spesso decisivo nella corsa al titolo; e senza l'aiuto dei meccanici, un pilota non va da nessuna parte. Nell’atletica sul fondo e mezzofondo spesso vengono ingaggiate le cosiddette "lepri", che sono atleti che hanno il compito di dettare il ritmo per un po' di tempo, prima di lasciare la pista ad altri colleghi. Servono al campione di turno per avere un punto di riferimento su cui costruire una vittoria o un record.
Sono meno pagati, meno acclamati, meno famosi. Si muovono in penombra, vivono di luce riflessa, si ritagliano solo dei piccoli spazi. In poche parole: fanno il lavoro sporco. Eppure sono decisivi quanto i campioni. E' il destino dei gregari. Ma occhio, non chiamateli così. Alcuni potrebbero arrabbiarsi.