venerdì 30 settembre 2011

"The Black Mamba" a Bologna

E' quasi ufficiale: Kobe Bryant, superstar del basket Nba - conosciuto anche come The Black Mamba - sarà un giocatore della Virtus Bologna. "Quasi", perché manca ancora un dettaglio non da poco: la firma. Le dichiarazioni del patron della Virtus, Claudio Sabatini, lasciano però pochi dubbi sull'esito della trattativa: «Abbiamo trovato l'accordo sulla parte economica - ha spiegato stamani a Sky Sport 24 il numero uno della Virtus - dobbiamo solo definire alcuni particolari, ma come diceva un noto allenatore di calcio "rigore è quando arbitro fischia". Noi abbiamo trovato l'intesa su 10 partite, anche perché non ci potremmo permettere l'11esima. Ringrazio Bryant e il suo agente per la disponibilità e per la massima collaborazione che hanno avuto. Per noi adesso è fondamentale chiudere prima del 9 ottobre per avere Kobe in campo il 9 con la Virtus Roma. I tempi sono molto stretti, ma dobbiamo farcela».
A questo punto è interessante chiedersi cosa può portare Kobe al basket italiano. Ovviamente porterà un grande valore aggiunto alla Virtus. Se è davvero motivato sarà difficile contenerlo. E io non credo che uno come lui sia venuto in Italia solo per ingrossare il portafoglio. Ma in 10 partite, Kobe può davvero cambiare la stagione della Virtus Bologna? Non penso. Alla fine 10 partite sono pur sempre 10 partite, e quando saranno finite tutto tornerà come prima.
Sabatini ha dichiarato che «con l'arrivo di Kobe vince il nostro sistema». Su questo, sinceramente, ho i miei dubbi. Se guardiamo i fatti, Kobe arriva da noi grazie al lockout Nba, lo sciopero dei proprietari delle squadre che cercano di abbassare il monte ingaggi. Se l'Nba non si fermava, non si sarebbe mai creata questa opportunità. E Kobe ha scelto l'Italia non tanto per ragioni sportive (in Europa ci sono campionati di basket molto più competitivi del nostro, e la Virtus Bologna non è certo una corazzata), ma perché questo è il Paese in cui ha vissuto alcuni anni della sua infanzia, quando il padre Joseph Washington Bryant giocava nel Pistoia basket. Kobe conosce perfettamente l'italiano e già da tempo aveva dichiarato di avere il desiderio di giocare dalle nostre parti, magari a fine carriera. Quindi non credo si possa parlare di vittoria del nostro sistema. Mi sembra più corretto parlare di coincidenze fortunate.

mercoledì 28 settembre 2011

Troppo presto? Eppure siamo già in ritardo...

E' successo che nel finale della partita Juventus-Bologna, mercoledì scorso, è scoppiata una rissa tra alcuni giocatori delle due squadre. La baruffa si è scatenata proprio accanto agli spalti e un tifoso juventino ha allungato un braccio nel tentativo (vano) di dare uno schiaffo a Di Vaio, capitano del Bologna. Apriti cielo. Via con i soliti discorsi disfattisti. Gli stessi che venti giorni fa, alla cerimonia d'inaugurazione del nuovo stadio bianconero, esaltavano la Juventus per aver portato la modernità nel calcio italiano, ora si prodigavano nel ripetere che «l'Italia non è pronta per avere uno stadio così», e altri discorsi di questo tenore. Allora bisogna intenderci. Qual è il problema? Lo stadio o i tifosi? Il contenitore o il contenuto?
In occasione della partita di Champions League tra Napoli e Villareal di ieri sera, la società partenopea ha dovuto rimuovere tutte le reti di protezione dal settore ospiti del San Paolo. Lo pretende la Uefa, l'organo che governa il calcio europeo. Capite quanto siamo indietro rispetto all'Europa, dal punto di vista della cultura sportiva e non solo? Stadi con protezioni che si rifanno il look nelle notti di Champions, è paradossale. Si continua a dire che l'Italia non è pronta per stadi senza barriere, eppure siamo già indietro rispetto agli altri. Ma allora quando saremo pronti anche noi? Capello qualche tempo fa disse frasi molto pesanti sulla situazione del tifo calcistico italiano: «Purtroppo siamo in mano agli ultrà. Non devo fare altro che ripetere le stesse cose che ho già detto e per cui sono stato già ampiamente criticato. Non ho cambiato idea e non mi interessa se purtroppo ho avuto ragione». Frasi che suscitarono un polverone mediatico e dalle quali il mondo sportivo e la politica italiana si dissociarono, chiudendosi in una difesa corporativa. Continuiamo a far finta di niente. E così accumuliamo ritardo su ritardo.
La Juventus ha fatto una scommessa, realizzando uno stadio senza barriere. E sta facendo di tutto perché questa scommessa possa essere vincente. Gli agenti della Digos della Questura di Torino hanno già identificato il tifoso che ha tentato di dare lo schiaffo a Di Vaio e l'uomo sarà punito con 5 anni di Daspo (divieto di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive). Verrebbe da dire che anche i calciatori protagonisti della rissa meriterebbero una sanzione del genere, ma lasciamo perdere. In questa vicenda le cose da sottolineare sono due. Primo: il colpevole ha un nome e un cognome. Secondo: il colpevole sconterà la sua pena. Non sono due cose ovvie, almeno nel nostro Paese, in cui lo stadio è il luogo senza giustizia per eccellenza.
Non c'è più tempo da perdere e la Juventus lo ha capito. Ma adesso qualcuno deve seguire la sua strada.

venerdì 23 settembre 2011

¿Por qué?

Da tempo considero Fiorello uno dei più grandi entertainer che l'Italia abbia mai avuto. E' uno showman globale, un talento raffinato, un artista poliedrico. Sa presentare, intrattenere, cantare, imitare, improvvisare. Eppure qualcuno sembra non essersene accorto. La Rai, ad esempio.
Come mai l'emittente pubblica non gli affida ogni anno un programma tutto suo? Come mai per Antonella Clerici, Fabrizio Frizzi, Massimo Giletti, Caterina Balivo, e via dicendo la Rai trova sempre una collocazione nel palinsesto, mentre Fiorello scompare periodicamente dai radar televisivi? Por qué, por qué?, direbbe tormentato Mourinho. Le motivazioni economiche (del tipo: «Fiorello vuole troppi soldi») non reggono. La Rai spende (sperpera?) ogni anno svariati milioni di euro per mantenere in vita il moribondo Festival di Sanremo, quindi le motivazioni economiche vanno a farsi benedire. Allora come mai? Perché la Rai non sfrutta il suo grande talento? Nel 2009 Sky pensò bene di approfittare della situazione per offrire un anno di contratto a Fiorello e gli affidò uno show tutto suo. Fiorello Show, questo il titolo del programma televisivo (e spettacolo teatrale al tempo stesso) andato in onda su Sky Uno da aprile a giugno 2009, per un totale di 33 puntate. Risultato: successo clamoroso. Non sembra poi così difficile. Allora perché la Rai non vede?
Ho la sensazione che la bravura di Fiorello sia eccessiva per molti. Il confronto con uno showman del suo calibro finirebbe per far sfigurare tutte le mezze calzette che di questi tempi in Rai abbondano. Quindi molto più prudente usare il suo talento con il contagocce. A proposito: il prossimo novembre ci sarà il grande ritorno di Fiorello su Rai 1 con un nuovo programma in 5 puntate. Prima di rivederlo sull'emittente pubblica, potete contarci, passerà del tempo.

mercoledì 21 settembre 2011

Fine della corsa



Inter-Milan (supercoppa italiana) 1-2.
Palermo-Inter 4-3.
Inter-Trabzonspor 0-1.
Novara-Inter 3-1.

In tempi non sospetti ebbi modo di scrivere un post (Inter, la fine dei vincenti per prescrizione) in cui dicevo che per l'Inter si stava aprendo un periodo molto difficile. I segnali erano evidenti, tanto da non lasciare dubbi. Per citarne alcuni: l'inconsistenza della società; la nullità del mercato estivo; il divorzio inatteso a fine giugno da Leonardo; la scelta di un nuovo allenatore, Gasperini, arrivato come quinta o sesta scelta e mai sostenuto dalla società; i dissidi tra Branca e Moratti; il ricordo opprimente (ossessione?) di Mourinho e dei vecchi splendori.
Pagherà, come sempre, l'allenatore. Domani, dopodomani, tra una settimana, dieci giorni. Non cambia molto: Gasperini verrà mandato via. Moratti non ha mai agito da dirigente sportivo, perché non lo è mai stato e mai lo sarà. Agisce da tifoso, perché in fondo è un tifoso, solo con molti soldi in tasca. Un tifoso neanche molto evoluto, a dirla tutta. Non ha mai avuto l'umiltà di riconoscere i propri errori, né pubblicamente né di fronte a se stesso. Un paio d'anni fa, subito dopo la finale di Champions vinta contro il Bayern Monaco, Pierluigi Pardo - giornalista che all'epoca lavorava per Sky (ora è di Mediaset) - gli chiese se quella vittoria lo ripagava delle tante delusioni e degli errori degli anni passati. L'avesse mai fatto! Moratti gli rispose piccato dicendo che «quelli erano gli anni in cui c'era un gruppo che adesso è sotto processo a Napoli», e se ne andò sdegnato non concedendosi alle altre domande del giornalista. Non ha mai ammesso i propri errori, e tantomeno ne ha fatto tesoro per le occasioni successive.
Si ripeteranno dunque i soliti schemi e le solite procedure che all'Inter vengono applicati da oltre sedici anni, da quando Moratti è presidente. Si alzerà il telefono e si cercherà il successore di Gasp, sperando in questo modo di risolvere il problema. Solo per dare un'idea: il prossimo sarà il 17° allenatore della gestione Moratti. Più di un allenatore all'anno negli ultimi 16 anni, un dato incredibile, soprattutto considerando che stiamo parlando di una grande squadra.
Forse il nuovo tecnico darà una scossa all'ambiente, ma sarà un sollievo momentaneo. L'Inter avrebbe bisogno di ben altre misure che un semplice cambio di tecnico per invertire la rotta.

sabato 10 settembre 2011

Fuori l'orgoglio bianconero!


E' stata un'ora di puro spettacolo ed emozioni, un'ora che ha avuto il potere magico di cancellare le amarezze e le delusioni degli ultimi cinque anni. E' stata una cerimonia maestosa e sobria al tempo stesso, un esempio di civiltà, eleganza, stile. E' stato un modo per ricordare e celebrare i centoquattordici anni di storia bianconera e per aprire la porta alla nuova casa, al futuro. Un futuro che dovrà essere all'insegna della tradizione vincente della Juventus. E' stata una cerimonia festosa, gioiosa, ma al tempo stesso profonda, soprattutto quando si sono ricordati i momenti tragici della storia del club, come la strage dell'Heysel del 29 maggio 1985. Non era facile riuscire a fondere gioia e dolore con tanta eleganza. La chiacchierata in mezzo al campo tra Del Piero e Boniperti è stato un momento indimenticabile per chi ama la Juventus. Boniperti che emoziona e arringa il pubblico: «La mia vita nella Juventus è iniziata il 4 giugno 1946 e sono ancora qui dopo 65 anni per abbracciarvi tutti e farvi i miei auguri e ricordare ai giocatori che vincere non è importante ma è l'unica cosa che conta». Fantastico.
Molto bello anche il discorso di Andrea, che ha riacceso l'orgoglio del popolo bianconero: «Noi siamo la gente della Juve. Siamo gente che si riconosce quando si guarda negli occhi. Occhi che sanno accettare i risultati conseguiti sul campo. Un prato come questo ci ha consacrato ventinove volte campioni d'Italia, due volte campioni d'europa e due volte campioni del mondo!».
Proprio perché gli scudetti sono ventinove sarebbe stato bello vedere anche Moggi e Giraudo in tribuna ad assistere alla cerimonia. In pochi ricordano che il progetto del nuovo stadio è partito da loro. Era doveroso invitarli, ma nessuno ha osato tanto. Probabilmente Elkann ha messo il veto.
Per il resto, serata magnifica.

giovedì 8 settembre 2011

Del Piero, l'Araba fenice

Cosa avrebbe potuto fare senza quell'infortunio? E' una domanda che ho sentito fare tante volte in questi anni. Ma è un genere di discorso che non mi affascina. Lo trovo inutile. Non mi piace e non mi è mai piaciuto ragionare con i se. Quel maledetto pomeriggio di Udine in cui il ginocchio fece crack c'è stato, punto e basta. E' vero, era un giocatore meraviglioso prima dell’infortunio. Ma lo è stato ancora di più dopo.
La fase di recupero non fu facile, a livello fisico e mentale. Sembra una cosa da nulla, ma quando sei il giocatore più forte del mondo e ti trovi a fare i conti con un infortunio di quel tipo, beh, non dev'essere semplice. E infatti non fu semplice. Ci sono stati momenti duri e, diciamolo pure, molto duri. Ci sono state tante, troppe critiche. Nessun altro giocatore italiano si è mai trovato a subire un massacro mediatico del genere, almeno nell'ultima generazione. Dopo un paio di gol sbagliati nella finale dell'europeo 2000 gliene dissero di tutti i colori, sembrava la causa di ogni male. No, non era facile tornare. Anzi, il rischio che non tornasse più era concreto.
E invece... E invece è ancora qua. Eh già. Dopo tredici anni da quel maledetto infortunio è ancora qua, a scrivere la storia del calcio. Pronto per la diciannovesima stagione con gli stessi colori di sempre, il bianco e il nero. Dall'esordio al Comunale, al mitico Delle Alpi, passando per l'Olimpico di Torino. Stasera debutterà nel quarto stadio da quando è bianconero, nell'impianto del futuro, uno dei più moderni al mondo e il primo di proprietà della Juventus. Lascerà il suo segno anche nella casa del futuro. Una maglia, quattro stadi. Un record imbattibile. Uno dei suoi tanti record.
Numeri di un campione. Un fuoriclasse, direbbe Marcello Lippi.

mercoledì 7 settembre 2011

La caduta dell'ottavo re di Roma

Lo scorso 10 giugno Walter Sabatini, nel corso della sua prima conferenza stampa da direttore sportivo della Roma, dichiarò: «La squadra sarà modellata attorno a Totti. Il capitano è intramontabile, è come la luce sui tetti della città. La luce persiste, va avanti, dilaga». Frasi inequivocabili, che lasciavano pensare che anche la nuova dirigenza considerasse il capitano giallorosso l'unico giocatore davvero insostituibile.
E invece a distanza di meno di tre mesi, tutto è cambiato. Sono bastate due partite con il modesto Slovan Bratislava a far saltare il tappo. Luis Enrique lo ha escluso dalla partita d'andata e lo ha sostituito nella partita di ritorno, scatenando la rabbia e i musi lunghi del capitano. La sconfitta in Slovacchia, il pareggio a Roma e la conseguente eliminazione dall'Europa League hanno fatto il resto, innescando il putiferio. La città, inutile dirlo, si è schierata con il proprio beniamino e contro l'allenatore. E così, già a fine agosto, prima dell'inizio del campionato, la situazione è diventata rovente. Forse un record. Tanto che qualche giorno fa lo stesso Sabatini ha convocato una conferenza stampa a Trigoria per calmare le acque in vista dell'inizio del campionato e per far capire da che parte stesse la società in questa vicenda: «Nel calcio moderno non possono esserci giocatori intoccabili. So perfettamente che per un giocatore come Totti non giocare o essere sostituito è un grande sacrificio, ma a questo punto della sua vita sportiva ci aspetta qualcosa di più, qualcosa di speciale. E deve essere lui ha condurre questa vicenda, deve fare in modo che Luis Enrique possa esprimere le sue grandi qualità».
Da quando Rossella Sensi ha venduto la società agli americani, alla Roma sono cambiate molte cose. Tutti sanno quanto la Sensi fosse personalmente legata a Francesco Totti e ai senatori della squadra. Un legame sincero, conseguenza di quasi vent'anni vissuti insieme alla Roma, di tante battaglie e di tanti ricordi comuni. Nel 2009, quando Totti aveva già 33 anni, la società gli offrì un rinnovo di quattro anni (fino al 2014) a oltre 4 milioni netti a stagione. Cifre folli e fuori mercato per un giocatore che alla scadenza del contratto avrà 38 anni. Numeri che si possono spiegare solo in relazione al fortissimo legame che c'è tra Totti e la città di Roma e tra Totti e la famiglia Sensi.
Ma con l'arrivo degli americani il capitano giallorosso è tornato ad essere un semplice giocatore di calcio. Un semplice dipendente insomma, come tutti gli altri. Deve essere stato un bello shock per uno che si considerava e si considera, parole sue, l'ottavo re di Roma. In effetti dal 1993, da quando ha esordito in Serie A, Totti non è mai stato messo in discussione. In quasi vent'anni solo Ranieri, l'anno scorso, ha timidamente provato a fargli capire che non poteva più giocarle tutte. E proprio questo fu uno dei motivi principali che portarono al suo esonero. Ma adesso gli americani e la nuova società sembrano decisi ad appoggiare l'allenatore e le sue scelte, anche quelle impopolari come tenere in panchina Totti.
Il quale per il momento se ne sta imbronciato sull'ottavo colle di Roma e non si degna di rispondere a nessuno. A dire la sua per chiarire la situazione non ci pensa neanche. Forse alla fine il muso gli passerà, forse finirà per accettare che il tempo passa per tutti. Forse capirà che può essere ancora decisivo non giocandole tutte. Forse. Intanto se ne sta zitto, sperando magari che la città si ribelli agli invasori americani, salvando il suo trono. Come ha scritto Sport.esGuerra en la ciudad eterna.

domenica 4 settembre 2011

US Open 2011, Serena verso il titolo?

Purtroppo non sto seguendo molto questa edizione degli US Open. Ieri sera però mi sono trovato a guardare la partita di terzo turno tra Serena Williams e Victoria Azarenka. Punteggio finale di 6-1 7-6 (7-5) a favore dell'americana, che si è qualificata così agli ottavi di finale dell'ultimo torneo del Grande Slam della stagione.
E' stato bello rivedere la 30enne del Michigan su livelli di tennis molto alti. Dopo l'annus horribilis - pieno di infortuni, ricadute e preoccupanti problemi di salute - Serena sta finalmente ritrovando la forma migliore e sta dimostrando di essere ancora oggi la tennista più forte del pianeta. Mai come in questo momento la classifica del tennis femminile è bugiarda. Stando al ranking WTA, infatti, Serena è la 27a tennista al mondo. Ma si sa, le classifiche del tennis mondiale si basano sui risultati dell'ultimo anno solare, e Serena nell'ultimo anno non ha quasi mai giocato.
Il recupero della statunitense ha dell'incredibile, se pensiamo che a marzo si trovava su un lettino di ospedale, ricoverata d'urgenza per un'embolia polmonare. Neanche sei mesi fa, si parlava di carriera a rischio. E invece il recupero lampo. A metà giugno il ritorno al tennis con un paio di partite a Eastbourne, poi a fine giugno l'eliminazione agli ottavi di Wimbledon, e già ad agosto il ritorno alla vittoria con i successi ai tornei di Stanford e Toronto.
Il 26 settembre Serena compirà 30 anni, un'età cruciale nel tennis. Nella storia di questo sport infatti sono pochissimi gli over 30 che hanno saputo ottenere dei successi importanti. Solo i grandi ci sono riusciti. Pete Sampras riuscì a conquistare il suo quinto e ultimo titolo US Open nel 2002, all'età di 31 anni. E Andre Agassi riuscì a tornare numero 1 del mondo il 28 aprile 2003, all'età di 33 anni e 13 giorni. Il suo è un record ancora imbattuto. Il tennis ad alti livelli è uno sport molto logorante, sia per le molte partite, spesso ravvicinate, sia per la quantità di viaggi, spesso intercontinentali, che un atleta è costretto a fare tutti gli anni. Così tra gli uomini l'unico giocatore attualmente nei Top 15 ad avere superato i 30 anni è Roger Federer, numero 3 del ranking. E tra le donne i numeri sono ancora più sorprendenti: solo due giocatrici nelle prime 44 hanno superato i 30: una è la nostra Francesca Schiavone, numero 8 della classifica, l'altra è Venus Williams, numero 36. Sono statistiche che lasciano poco spazio all'interpretazione.
Eppure credo che Serena riuscirà ad imporsi anche dopo aver superato la fatidica soglia dei trenta. Ne sono convinto per diversi motivi. Innanzitutto perché il livello attuale del tennis femminile è troppo basso per impedire alla minore delle Williams di vincere qualche altro torneo. Poi perché Serena si è sempre presa delle pause, anche lunghe, dal tennis. Non ha mai giocato troppi tornei, si è sempre concentrata sui Grandi Slam. Ha dosato le energie insomma, e questo potrebbe avergli allungato la carriera. E, per finire, penso che vincerà ancora perché il suo servizio è uno dei migliori della storia del tennis femminile. Questo tipo di colpo non perde efficacia con gli anni, o perlomeno la perde più lentamente, e le darà sempre una grande mano, almeno sulle superfici veloci. Sarà sempre molto difficile strappare il servizio a Serena Williams.
Intanto, vincendo gli US Open, l'americana ha l'occasione di conquistare il suo ultimo torneo da ventenne. E di chiudere nel migliore dei modi una decade di grandi successi.