domenica 28 agosto 2011

Irene, New York e US Open


Era l'agosto del 2005 quando l'uragano Katrina - categoria 5 su una scala che va da uno a cinque - rase letteralmente al suolo New Orleans. Il bilancio all'epoca fu disastroso: un'intera città si trovò sommersa dall'acqua, 1800 furono i morti e un milione gli sfollati.
A distanza di 6 anni l'America torna a rivivere l'incubo con l'uragano Irene. Stavolta è New York, la città simbolo degli Stati Uniti, ad essere minacciata dalla forza distruttiva della natura. Ma perché gli americani sono tanto preoccupati per un uragano, Irene, che nelle ultime ore è stato declassato prima da categoria 3 a categoria 2 e poi da categoria 2 a categoria 1? Quando Katrina si abbatté su New Orleans, pur avendo perso potenza, era sempre un uragano di categoria 3. Alla fine rispetto a Katrina c'è una bella differenza e gli USA dovrebbero essere abituati a vivere e affrontare eventi climatici di una certa violenza. La verità è che Katrina e Irene sono due uragani molto diversi, ciascuno con le sue caratteristiche e le sue problematiche. Innanzitutto Irene si dirige verso Nord e non verso Sud, e negli ultimi dieci anni sono pochissimi gli uragani che hanno preso questa direzione. Già questo lo identifica come un fenomeno particolare. Inoltre, mentre Katrina concentrò tutta la sua enorme furia distruttiva in un'area piuttosto ristretta e per un periodo di tempo piuttosto breve, Irene ha un raggio d'azione molto più ampio e impiegherà dalle 12 alle 18 ore per passare sopra ogni paese, città o costa che avrà la gentilezza di visitare. In parole povere: l'uragano che in queste ore si sta abbattendo sulla Grande Mela è un uragano molto più debole ma anche molto più duraturo. Probabilmente la pioggia incessante e le forti raffiche di vento finiranno per danneggiare i cavi elettrici e vaste aree della città rimarranno senza elettricità. Per una città di 8 milioni di abitanti e di 1200 km quadrati, con decine di grattacieli che superano i 200 metri d'altezza, rimanere senza energia non deve essere uno scherzo. L'altra grande problematica connessa all'uragano Irene è il pericolo tsunami su New York. La situazione a dire il vero non è molto chiara, nessuno è in grado di fare una previsione sufficientemente sicura. Alcuni parlano di onde alte due-tre metri, altri di onde alte una decina di metri. Lo scenario peggiore prevede che a causa dell'innalzamento del mare, alcune zone nella parte meridionale di Manhattan possano essere inondate. Da qui la decisione di evacuare immediatamente queste aree, con oltre 370 mila persone che hanno abbandonato le loro case. La metropolitana è già stata chiusa. New York è una città al momento paralizzata. 
Se poi aggiungiamo a tutto questo il fatto che la Grande Mela - anche per il fatto di essere la sede di tutti i maggiori network televisivi d’America - si considera l'ombelico del mondo, si capisce perché Obama e gli americani sono così preoccupati per un "semplice" uragano di categoria uno.

Inevitabili le ripercussioni dell'uragano Irene su tutte le attività, anche quelle sportive. Già cancellati molti eventi sportivi in tutta l'area interessata: non si giocheranno molte partite della preseason della Nfl, sono stati spostati alcuni appuntamenti di golf e del Soccer made in Usa. Ma soprattutto a rischio spostamento sono gli US Open, l'ultimo torneo del Grande Slam che si svolge a Flushing Meadows, una zona di New York a medio-alto rischio secondo il servizio meteorologico statunitense. Il torneo dovrebbe iniziare domani, ma è probabile che verrà posticipato di qualche giorno, o almeno di qualche ora. Anche Roger, Rafa e Nole dovranno fare i conti con l'uragano Irene.

giovedì 25 agosto 2011

La civiltà del pubblico di Udine


Non è comune, almeno nel calcio, e soprattutto in Italia, assistere a scene di questo tipo. Vedere gente - tifosi di calcio! - applaudire la propria squadra che ha appena perso una partita importantissima è un evento raro dalle nostre parti. L'Udinese non parteciperà alla prossima Champions League, ma questo è solo un dettaglio della serata. La notizia è che anche in Italia si può tifare in modo sano, si può andare allo stadio sereni, portare i propri bambini a vedere la partita, senza paura e senza timori. Udine ha dato un grande segno di civiltà che non può e non deve passare inosservato. La civiltà è una conquista faticosa, una strada in salita e piena di tornanti. Chi ha già sudato e ha scalato questa montagna dovrebbe essere un esempio per chi ancora non lo ha fatto.
I giornali farebbero bene a dare ampio risalto e il giusto merito al comportamento del pubblico friulano, purtroppo immagino che non lo faranno. Si parlerà della partita, dell'eliminazione dell'Udinese, del fatto che ha giocato bene e meritava di passare, e via con i soliti discorsi. Magari di sfuggita si dirà anche che il pubblico ha applaudito la squadra nonostante l'eliminazione. Così, en passant. Sarà un contorno della notizia. Mentre dovrebbe essere la notizia. Questa sera a Udine i tifosi di calcio hanno dato una grande lezione di civiltà.

venerdì 19 agosto 2011

Moratti-Della Valle, ancora scintille

Qualche giorno fa Diego della Valle, dopo aver letto la relazione di 72 pagine del procuratore federale Stefano Palazzi - relazione dalla quale emergeva che anche le condotte messe in atto dai vertici del club nerazzurro violarono gli articoli 1 e 6 del vecchio codice di giustizia sportiva, in quanto certamente dirette ad assicurare un vantaggio in classifica mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale - attraverso un comunicato sul sito ufficiale della Fiorentina, si rivolse pubblicamente a Massimo Moratti, chiedendogli di sedersi intorno a un tavolo per cercare di chiarire cosa accadde veramente nella bollente estate 2006 del calcio italiano, e per cercare di capire "perché i destini di due società amiche come le nostre, che condividevano gli stessi principi e gli stessi valori, abbiano avuto trattamenti diversi e destini diversi". Alla proposta del patron viola, peraltro espressa con toni pacati e civili, rispose con una certa acidità Massimo Moratti: "Mi siederò al tavolo con Della Valle? Penso che si divertiranno a fare una rimpatriata tra di loro, io sarei noiosissimo". Non contento, qualche giorno fa, nel corso di un'intervista alla Gazzetta dello Sport, il presidente nerazzurro ha rincarato la dose su Calciopoli: "Mi verrebbe da fare una battuta: un giorno mi metto lì e chiamo tutti i presidenti, una società alla volta, e regalo loro quello scudetto. Calciopoli non dipende da me ma dagli altri, io non c'entro un bel niente: vede, l'Italia è un paese in cui se hai un senso di colpa, bè, vuoi farlo avere automaticamente anche all'altro; ma io i sensi di colpa su questa storia non li ho nè mai li avrò". Peccato che la relazione di 72 pagine di Palazzi dello scorso luglio dica esattamente, e in modo inequivocabile, il contrario: anche l'Inter violò gli articoli 1 e 6 del codice sportivo. A sentire Moratti, però, sembra che il tempo si sia fermato al 2006.
La suddetta intervista alla Gazzetta dello Sport ha scatenato la controreplica di Diego Della Valle, che ancora tramite un comunicato sul sito ufficiale della Fiorentina, ha rinnovato l'invito al presidente nerazzurro a sedersi a un tavolo per chiarire ciò che accadde nel 2006 e per stemperare il clima di tensione, non certo ideale in vista dell'imminente inizio del campionato. Stavolta i toni del comunicato sono molto più duri:


Dopo la mia proposta del tavolo del chiarimento e della pacificazione, Moratti insiste nel  fuggire dalle proprie responsabilità, continuando invece a nascondersi dietro battute offensive e inopportune, rilasciate agli angoli di una strada o al tavolo di un bar al mare. 
Dal mio punto di vista il suo è un comportamento offensivo per chi è stato vittima di una situazione assurda, non chiara, e che dovrà essere (e mi auguro sarà) ben analizzata, senza preconcetti  per quanto riguarda quello che la Fiorentina ha dovuto subire. Il suo comportamento è altrettanto inopportuno in quanto Moratti stesso è stato considerato colpevole di un comportamento scorretto, sportivamente parlando, ed avrebbe dovuto essere giudicato per questo, se non fosse sopraggiunta una prescrizione arrivata con la precisione di un cronometro. Questi sono i fatti che nessun atteggiamento sprezzante e supponente può cancellare, queste sono ombre, o più che ombre macigni che Moratti ha sopra la sua reputazione personale.  Per chiarire anche la sua posizione, l’unico modo serio e civile da parte di Moratti può essere solo quello di accettare un confronto leale, nel quale potrà spiegare dal suo punto di vista cosa è successo prima e durante lo scandalo del calcio, qual è stato il suo ruolo, il suo comportamento personale, senza nascondersi dietro persone per bene che non ci sono più e tanto meno senza nascondersi dietro i propri tifosi, che in questa faccenda non c’entrano nulla e nulla hanno fatto di male.  Pertanto gli rinnovo l’invito a sedersi al tavolo del chiarimento prima che inizi il campionato, in modo che si possa tentare di mandare allo stadio i tifosi, tutti i tifosi, con uno stato d’animo più sereno, cosa ancora più indispensabile in un momento così difficile e socialmente incerto. Per fare questo non servono battute estemporanee, ma serve solo senso del proprio ruolo e delle proprie responsabilità, rispetto delle persone e dei valori e un po’ di coraggio.

Il alcuni precedenti post avevo espresso concetti molto simili a quelli presenti in questo comunicato. Questi i post:


Mi scuso per tutti questi rimandi ai precedenti post, ma il mio pensiero su questa vicenda l'ho già ampiamente espresso e sarebbe inutile da parte mia ripetere i soliti concetti. Diventerei noioso come Moratti e questo, cercate di capirmi, proprio non mi va.

lunedì 15 agosto 2011

Caro Jaki, non tutti hanno la memoria corta

"Spero che prima o poi vada in vacanza così si rilassa". E' questa la scialba battuta con cui Massimo Moratti, qualche giorno fa, aveva replicato al presidente della Juventus, Andrea Agnelli, che qualche ora prima in una conferenza stampa aveva annunciato la decisione di ricorrere alla giustizia ordinaria per tornare in possesso del titolo vinto sul campo nel 2006 e passato ai nerazzurri in seguito alle indagini su Calciopoli.
Ci ha pensato John Elkann, in occasione della tradizionale amichevole tra Prima squadra e Primavera a Villar Perosa, a replicare alla battuta del presidente nerazzurro. Queste le parole dell'azionista di maggioranza della Juventus: "La Juve è sempre stata molto coerente nel chiedere parità di trattamento, senza entrare nel merito delle decisioni. Noto disagio e consigli da parte di altri e questo fa supporre che qualcosa da nascondere c'è. I consigli di una persona di una certa età vanno ascoltati, ma le vacanze della Juventus sono prescritte". Tralasciando la battuta finale con cui John ha liquidato i consigli di Moratti, mi voglio soffermare sulla prima parte delle sue dichiarazioni. Ormai si era capito che, da qualche tempo, il giovane Elkann aveva cambiato drasticamente linea e atteggiamento su Calciopoli, ma che arrivasse a tanto non era prevedibile. Quando dice che "La Juve è sempre stata molto coerente nel chiedere parità di trattamento", si dimentica, o forse fa finta di dimenticare, come andarono le cose nel 2006. Al tempo John fece meno che nulla per difendere la Juventus e le conseguenze del suo atteggiamento sono ancora oggi visibili. Se la Juventus nel 2006 si fosse difesa, o almeno avesse provato a farlo, probabilmente la condanna non sarebbe stata così dura. Elkann non ha mai fatto niente per ottenere quella parità di trattamento che oggi la Juventus, grazie ad Andrea Agnelli e alla forte pressione dei tifosi, rivendica ad alta voce in tutte le sedi opportune.

Ma per chi avesse dimenticato, torniamo al 2006. Per ricordare come andarono le cose.
Domenica 7 Maggio 2006, si giocava Juventus-Palermo, la prima partita dopo la pubblicazione delle intercettazioni. Al termine della partita, finita 2-1 per la Juve, Elkann dichiarò: "La nostra solidarietà va ad allenatore e giocatori". Con questa semplice battuta Jaki scaricò di fatto Moggi e Giraudo, che tanti successi avevano portato alla Juventus, senza mai chiedere soldi alla famiglia e tenendo sempre i bilanci societari in perfetto ordine. Moggi qualche tempo fa ha rivelato un altro particolare significativo, che certo non depone a favore di John: "In quei giorni nessuno mi ha chiamato e non soltanto per starmi vicino, ma neppure per chiedermi spiegazioni. Per avere la mia versione dei fatti. Credo che sarebbe stato naturale. Anche a un bambino che sbaglia, prima della punizione si chiede una giustificazione. A Moggi no. Punito. Condannato. Ripudiato. Cancellato". Come dargli torto?
Ma la cosa sicuramente più clamorosa in tutto questo è che nel luglio 2006, al Processo sportivo, il legale della Juventus, Cesare Zaccone - per sua stessa ammissione non esperto di diritto sportivo - offrì di patteggiare la pena, chiedendo la retrocessione in serie B con penalizzazione. Una cosa mai vista: la difesa che chiede la pena che poi le verrà puntualmente inflitta dall'accusa! Comico, se non fosse tragico.
C'è senza dubbio qualcosa di strano e oscuro nell'atteggiamento rinunciatario e nella mancata difesa della Juventus da parte della proprietà bianconera. Perché John Elkann rinunciò a difendere la società di cui era ed è il maggior azionista? Perché rinunciò persino al ricorso al Tar, che era nei diritti della Juventus nel 2006? Altra cosa molto strana: Elkann promise a J.C. Blanc il posto di AD (Amministratore delegato) ben prima di Calciopoli, come ha confermato lo stesso Blanc in un'intervista a "Le Monde". Come faceva Jaki a sapere che il posto di AD, che fino a quel momento era stato ricoperto in modo egregio da Giraudo, si sarebbe liberato poco tempo dopo per via di Calciopoli? Intorno alla figura di John Elkann rimangono ancora oggi molte ombre.
E' soltanto nell'aprile 2010, alla luce delle nuove intercettazioni venute fuori al processo di Napoli grazie al lavoro minuzioso dei legali di Moggi - intercettazioni che dimostravano l'esistenza di una fitta rete di contatti tra esponenti dell'Inter e tesserati del mondo arbitrale - che John Elkann, rinnegando spudoratamente tutte le proprie precedenti azioni, tramite un comunicato sul sito ufficiale della Juventus, cambiò radicalmente la propria posizione su Calciopoli: "Nel pieno rispetto delle attività riguardanti processi in corso, la Juventus valuterà attentamente con i suoi legali l’eventuale rilevanza di nuove prove introdotte nel procedimento in atto a Napoli al fine di garantire, in ogni sede sportiva e non, e come sempre ha fatto, la più accurata tutela della sua storia e dei suoi tifosi. La Juventus confida che le istituzioni e gli organi di giustizia sapranno assicurare parità di trattamento per tutti, come d’altronde la società e i suoi difensori richiesero nel corso del processo sportivo del 2006". Un cambio di linea improvviso e totale, una mossa ispirata al più bieco opportunismo e cinismo.
A questo comunicato rispose, dalle colonne di Libero, Luciano Moggi. Una lettera da leggere attentamente. Eccola:

Carissimo Elkann,

trovo francamente sorprendente leggere dalle colonne del Corriere della Sera del suo risentimento nei confronti di chi ha tacciato la Juventus, da lei condotta a senso unico durante Calciopoli, di essere stata parte attiva nel formulare ed accettare la propria condanna.
Vede Elkann, quando si è dalla parte della verità e quando si ha la responsabilità di una onesta storia centenaria e della dignità di quindici milioni di tifosi che nella Juventus si sono immedesimati e delle sue vittorie hanno gioito insieme alle proprie famiglie, allora si ha l’obbligo morale di affrontare le ingiustizie e le falsità, con coraggio e sacrificio, come la storia personale e professionale di chi Le scrive testimonia.
Le ricordo che prima ancora dell’inizio del processo sportivo, Lei, probabilmente non troppo sorpreso per quanto stava accadendo e già proiettato verso il glorioso futuro sportivo che attualmente rallegra i tifosi bianconeri, considerando i recenti successi nazionali ed internazionali che la nuova dirigenza ha saputo collezionare, aveva già deciso di abbandonare me e Giraudo al nostro destino, rinunciando a difendersi ed anzi, cosa ancor più grave, dando mandato al suo difensore di accettare supinamente qualsiasi decisione.
Tuttavia i suoi istinti suicidi non si erano ancora placati se è vero, com’è vero, che all’indomani della presentazione del ricorso al Tar, nel settembre del 2006, per l’annullamento delle sentenze sportive e per la sospensione dell’inizio del campionato in attesa di un processo più giusto ed equo, Lei decideva che quel ricorso andasse ritirato e che le decisioni della Federazione non andassero contestate ma servilmente accettate, con pubblici ringraziamenti di Blatter a Montezemolo!
Durante il secondo filone di indagine, quello cioè delle presunte Sim estere denominato Calciopoli 2, la Juventus, in quell’occasione assistita da Franzo Grande Stevens, piuttosto che difendersi, come ho efficacemente fatto io, ha preferito patteggiare e pagare 300 mila euro!
Nemmeno una mente fervida ed imprevedibile come quella di Alfred Hitchcock avrebbe mai immaginato che la vittima di una macchinazione potesse diventare con un colpo di teatro a sua volta colpevole... E invece lei c’è riuscito, al processo di Torino.
In quella comica (se non fosse tragica...) vicenda, la Juventus da Lei condotta, non si è solo limitata a non difendere sé stessa ed i dirigenti che l’hanno onestamente servita per 13 anni di successi e vittorie “a costo zero” - come direbbero i suoi esperti di marketing nella fase di lancio di una nuova vettura - ma addirittura ha accusato me e Giraudo e Bettega (perché no?) di comportamenti illeciti in ambito economico-gestionale, poi puntualmente smentita da un attento esame da parte del giudice. Si ricordi che quell’assoluzione vale per Lei come una condanna. Leggo che in un comunicato ufficiale la Società Juventus «confida che le istituzioni e gli organi di giustizia sapranno assicurare parità di trattamento per tutti, come d’altronde la società e i suoi difensori richiesero nel corso del processo sportivo del 2006» (!!!).
Lei Elkann, con questo suo inaspettato e tardivo ravvedimento, mi ricorda l’Innominato dei Promessi Sposi, che dopo una notte di travaglio morale ed esistenziale decide di convertirsi e di dare una svolta positiva alla sua vita.
Certo verrebbe da chiedersi dove sia stato e cosa abbia fatto e letto in questi lunghi quattro anni, per accorgersi solo adesso che la Juventus, quella sana e vincente della triade, è stata vilipesa e mortificata ingiustamente, oltreché accusata da prove parziali e contraddittorie.
Mi domando, inoltre, che cosa voglia intendere quando parla di «parità di trattamento che la difesa della Società avrebbe chiesto durante il processo sportivo». Non certamente l’aver proposto ed ottenuto la retrocessione, la revoca di scudetti vinti onestamente sul campo, la svendita di una rosa di giocatori di livello mondiale ed il rafforzamento dell’Inter a costi promozionali!
A pensar male si fa peccato, ma spesso si individua la verità e chissà se dietro questo suo ravvedimento non ci sia il tentativo di sviare l’attenzione dai disastri sportivi che la Sua illuminata gestione ha saputo regalare ai tifosi. Vuoi vedere che quel diavolo di Moggi sta tornando di nuovo utile a Lei e alla Juve dopo anni di battaglie giudiziarie e sofferenze solitarie?

E' una lettera chiara e onesta, di un uomo ferito, che aveva dato tutto se stesso alla Juventus e che nel momento più difficile si è trovato solo, scaricato da tutti ma soprattutto da quella proprietà a cui tanti trofei aveva fatto vincere, senza chiedergli una lira. Quella di Moggi non è un'analisi oscurata dal rancore, è una diagnosi lucida, che descrive in modo impeccabile come sono andate le cose. Cambiato il vento, John si è adeguato e ha ribaltato la propria strategia, allineandosi di fatto sulla linea scelta e portata strenuamente avanti, stavolta sì fin da subito, da Luciano Moggi. Beninteso, non c'è niente di male nel cambiare il proprio punto di vista, anzi può essere un segno di intelligenza e di umiltà. Ma negare di aver avuto una visione differente delle cose e di avere agito in passato secondo quella visione, beh questo è puro opportunismo. Caro Jaki, non tutti hanno la memoria corta.

mercoledì 10 agosto 2011

Inter, la fine dei vincenti per prescrizione

Dopo la stagione dello storico triplete e dopo il mini triplete dell’anno scorso, per l’Inter si profila un periodo di vacche magre. I segnali di un crollo verticale della società nerazzurra, in termini di prestazioni e di risultati sportivi, ci sono e sono forti. L’addio di Leonardo ha palesato ancora una volta la fragilità e l’intrinseca debolezza della società nerazzurra. Forse il lavoro fantastico di José Mourinho aveva fatto illudere qualcuno che la società interista nel suo complesso avesse acquisito quella capacità operativa e quella competenza che per anni non aveva avuto. Ma chi osserva il calcio con occhio critico sa benissimo che le chiavi dei recenti successi nerazzurri sono fondamentalmente due, e non sono da ricercare in una nuova vitalità della società di Moratti. Le chiavi sono calciopoli e Mourinho. Calciopoli (mi correggo: farsopoli, clicca qui per leggere post su farsopoli) ha sconvolto gli equilibri del campionato italiano, sia perché la Juventus fu mandata in serie B, sia perché alcuni campioni della Vecchia Signora furono venduti proprio all’Inter nell’estate 2006, per l’incapacità del nuovo dg bianconero J.C. Blanc: mi riferisco a Patrick Vieira e a un certo Zlatan Ibrahimovic. Quest’ultimo in particolare ha fatto fare un salto qualitativo e di mentalità a tutto l’ambiente, trascinandolo alla conquista di tre scudetti consecutivi. Ho già avuto modo di dire nel precedente post (clicca qui per leggerlo) quanto Ibra sappia essere decisivo nel nostro campionato, probabilmente come nessun altro. L’altra chiave dei recenti successi nerazzurri è José Mourinho, lo Special One, capace in due anni di tirare fuori il meglio del meglio dagli uomini che aveva a disposizione e di vincere quella Champions che mancava all’Inter da 45 anni. Con l’addio di José da Setùbal l’Inter ha iniziato un declino dal quale difficilmente uscirà in tempi rapidi, almeno fino a quando continuerà a vivere nel ricordo del vecchio splendore e dell’allenatore portoghese. L’anno scorso il mini triplete ha salvato la stagione, ma quest’anno sarà molto più dura, perché non c’è un Mondiale per club da giocare, non c’è nessuna Supercoppa europea da alzare, e il primo obiettivo, la Supercoppa italiana, è già svanito a Pechino. E poi ad agosto inoltrato il mercato non ha ancora dato le sue risposte: Sneijder ed Eto’o probabilmente partiranno e non si sa ancora da chi verranno sostituiti. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che tra il dt Marco Branca e il presidente Massimo Moratti è sceso il gelo: tra i due infatti ci sarebbero state delle incomprensioni su come condurre il mercato e quindi su come costruire la rosa. Non proprio un gruppo unito insomma. In tutto questo c’è un allenatore, Gasperini, arrivato come quinta o sesta scelta, dopo Bielsa, Villas Boas, Capello, Hiddink e forse anche Mihajlović. Non proprio l’ideale, considerando che Gasp, non avendo mai allenato un Top club, avrebbe bisogno di un forte appoggio della società. Se prendi un allenatore giovane o con poca esperienza ad altissimi livelli, ti devi anche mettere in testa di tutelarlo, soprattutto nei momenti difficili. Ma sono pronto a scommettere che alle prime difficoltà Moratti alzerà il telefono e inizierà a cercare il successore di Gasp. All’Inter funziona così.
L’Inter ha costruito i suoi recenti successi sulle rovine della Juventus, ma adesso gli effetti benefici di farsopoli sulla società nerazzurra stanno pian piano svanendo. Si sta aprendo un periodo molto difficile per la creatura di Moratti.

martedì 9 agosto 2011

Ibra, l'uomo dei record. Un acquisto misterioso

Il primo titulo della stagione è del Milan. Nella stracittadina che valeva la Supercoppa italiana i rossoneri si sono confermati sui livelli della scorsa stagione, solito fortino difensivo e solito grandissimo Ibrahimović. Lo svedesone di origini slave è sicuramente l'uomo che negli ultimi anni ha fatto maggiormente la differenza nel campionato italiano. Chi ha Ibra vince, è un equazione infallibile. Dal primo anno in cui Zlatan è arrivato in Italia (portato nel nostro campionato non a caso da Luciano Moggi, uno che di calcio ci capiva e ci capisce più di tutti) le squadre in cui ha giocato hanno sempre vinto lo scudetto: Juventus, Inter e Milan. Complessivamente sono otto anni consecutivi che Ibrahimović vince lo scudetto (e il ciclo è sempre aperto!). Dalla stagione 2003/2004 all'Ajax fino alla stagione 2010/2011 al Milan, con in mezzo Juve, Inter e Barcellona, è sempre la stessa storia: Ibra uguale scudetto. Equazione sicura come due più due uguale quattro. Galliani l'anno scorso ha fatto un colpo straordinario, pesantissimo, riportando in Italia lo svedese. E' stata una manovra preparata ad arte grazie all'aiuto di Mino Raiola, il procuratore-burattinaio che muove i fili del calciomercato come nessun altro e che sembra avere una corsia preferenziale per portare i giocatori al Milan. Una manovra preparata con largo anticipo, iniziata con la rottura primaverile, rottura totale, tra Ibra e il proprio allenatore al Barça, Pep Guardiola. Vi ricorderete sicuramente le pubbliche accuse dello svedese al proprio tecnico. Solo una rottura diplomatica con il Barcellona poteva consentire a Ibra di aprire una trattativa con il Milan e di tornare in Italia, dove si gioca il campionato ideale per le sue caretteristiche.

C'è però un aspetto della trattativa che ha portato Ibra al Milan, un aspetto non secondario, che non mi convince affatto: le cifre. Come è possibile che il Milan abbia acquistato lo svedese in prestito con diritto di riscatto fissato a 24 milioni di euro esercitabile alla fine della stagione? Sono cifre inverosimili se pensiamo che l'anno precedente il Barcellona lo aveva acquistato dall'Inter ad una cifra folle: 50 milioni di euro più Eto'o (valutato 20 milioni). Siccome a Barcellona non sono fessi e di calcio se ne intendono, io non credo sia possibile che abbiano ceduto Ibrahimović al Milan a quelle cifre, accettando una minusvalenza da 44 milioni di euro. Ok, Ibra non rientrava più nei piani di Guardiola e si è dimostrato essere un giocatore non adatto per giocare nella squadra dei folletti cresciuti nella cantera catalana. Ma è possibile che pur di liberarsi della sua presenza ingombrante a Barcellona abbiano deciso di perdere in un solo anno per un solo giocatore 44 milioni di euro? E' vero Ibra non giocò la sua migliore stagione in Spagna, ma chiuse comunque l'anno con 21 gol in 45 partite: sono numeri che non giustificano e non spiegano affatto una svalutazione così forte del giocatore, da 70 milioni a 26 milioni. Forse non ci hanno detto tutto e per qualche motivo le vere cifre del passaggio di Ibra al Milan non sono state dette. Certo è che l'anno scorso Berlusconi passò l'estate a dire che "in un momento di così forte crisi economica internazionale non si potevano investire cifre folli nel Milan, anche per rispetto nei confronti degli italiani". Possibile che dopo l'acquisto dello svedese il Milan e il suo presidente avessero degli interessi a nascondere i numeri reali della trattativa? E' solo una mia ipotesi e come tale può essere sbagliata. Ma a Barcellona non sono pazzi.

lunedì 1 agosto 2011

Serena Williams, il ritorno

Un percorso netto. Una vittoria senza discussione. L'ennesima dimostrazione che quando i giornalisti si mettono a scrivere che un atleta è finito, beh quello è il momento di iniziare a puntare forte sul suo grande ritorno. Sto parlando di Serena Williams, fresca vincitrice del torneo di Stanford, in California. Intendiamoci, il torneo è importante, ma non è uno slam. Però la vittoria è molto significativa, perché Serena tornava da un anno horribilis, pieno di problemi fisici e passato lontano dai campi da gioco. Nel luglio 2010, poco dopo la vittoria a Wimbledon, Serena era in un ristorante di Monaco e camminò malamente su un pezzo di vetro. Gli esami rivelarono una lesione all'alluce e decise di operarsi. Poi all'inzio del 2011 una nuova operazione, sempre all'alluce che non guariva bene. Infine quando tutto sembrava risolversi il problema più grave, un'embolia polmonare e l'operazione d'urgenza a Los Angeles. Un anno difficile insomma, un anno lontano dal tennis. Serena è passata dalla vittoria a Wimbledon 2010 a giocare Wimbledon 2011 con un solo torneo in mezzo, quello di Eastbourne, in Gran Bretagna. Inevitabile che la sua preparazione allo slam erbivoro non fosse delle migliori, tutt'altro. In quest'ottica va letta la sua uscita di scena agli ottavi, per mano della Bartoli.
E proprio la Bartoli è l'avversaria contro cui Serena ha giocato la finale di Stanford, stavolta finita con esito opposto: 7-6 6-1 il punteggio a favore della statunitense. Durante tutto il torneo la Williams ha dato la sensazione di avere ritrovato quella solidità e quella potenza nei colpi che sono il suo marchio di fabbrica. Ai quarti Serenona ha demolito la russa occhi di ghiaccio Maria Sharapova 6-1 6-3, in semi ha demolito la Lisicki 6-1 6-2. Una superiorità schiacciante.
La classifica WTA, che dopo l'anno horribilis l'ha fatta scendere alla posizione numero 172, ora con la vittoria a Stanford la fa tornare nella Top 100. Ma questi numeri contano quello che contano. Serena è ancora la migliore e se riuscirà a ritrovare la condizione - i segnali incoraggianti in questo senso ci sono - gli US Open saranno di nuovo suoi.