venerdì 29 luglio 2011

Lasciatelo correre

45"07: è questo il tempo con cui Oscar Pistorius ha corso i 400 metri al Meeting "Sport Solidarietà" che si è svolto qualche giorno fa a Lignano Sabbiadoro, in provincia di Udine. E' un grande tempo, che gli consentirà di gareggiare con gli atleti normodotati ai Mondiali di atletica in Corea a fine agosto. E' un evento epocale per l'intero mondo dello sport, perché per la prima volta un atleta disabile accede ad una competizione Mondiale per normodotati.
Pistorius è un uomo eccezionale, con una tenacia unica, un cuore pieno di energia e nessuna voglia di mollare. Dopo la sentenza della IAAF (International Association of Athletics Federations) - che il 13 gennaio 2008 sostenne che "un atleta che utilizzi queste protesi ha un vantaggio meccanico dimostrabile (più del 30%) se confrontato con qualcuno che non usi le protesi" e gli impedì con questa motivazione di partecipare alle Olimpiadi di Pechino 2008 - Oscar avrebbe davvero potuto mollare. Ma non lo ha fatto. Una sentenza assurda e infondata, come dimostrerà il Tribunale sportivo, che nel maggio dello stesso anno, affermò che non vi erano gli elementi scientifici sufficienti per dimostrare che l'uso delle protesi dia vantaggio competitivo.
A distanza di tre anni Pistorius si ripropone quindi prepotentemente sulla scena, e stavolta a spuntarla è lui con la sua sconfinata tenacia. La partecipazione ai Mondiali con i normodotati è un evento storico non solo per l'atletica, e probabilmente non solo per lo sport. Pistorius va oltre lo sport, è un modello per tutti quelli che lottano per un grande sogno. E' la storia di un ragazzo che nasce con una grave malformazione ed è costretto a subire a undici mesi l'amputazione delle gambe sotto al ginocchio, è la storia di un ragazzo che non piange sulle proprie ferite, e vive la vita con gioia, accettando quello che gli ha dato e quello che non gli ha dato.
Tra un anno inizieranno le Olimpiadi di Londra 2012, si dice che saranno dei Giochi grandiosi e che in Inghilterra stanno preparando le cose in grande. Non ho dubbi che la manifestazione sarà studiata nei minimi dettagli e che lo spettacolo sarà garantito, però negli ultimi anni si è un po' perso il senso profondo dell'evento olimpico, il cosiddetto "Spirito olimpico". Nelle intenzioni del barone Pierre de Coubertin, fondatore dei moderni Giochi olimpici, le Olimpidi dovevano essere una festa della gioventù di tutti i popoli e dei valori profondi dello sport: la lealtà, il coraggio, l’amicizia, la solidarietà, il rispetto di sé stessi e delle regole, la sfida ai propri limiti.
Pistorius incarna perfettamente questi valori, lui è lo Spirito olimpico in persona. Se otterrà il pass olimpico per Londra 2012, lasciatelo correre. Come dice Oscar: "E le protesi? Ah certo amico mio, le protesi. Cosa vuoi ti dica di loro e di tutte le polemiche ad esse legate?...le protesi, sono un dettaglio nell’immensità del mio sogno". Il sogno di questo ragazzo vale molto più di una medaglia, lasciatelo correre.

venerdì 22 luglio 2011

Della Valle: "Moratti chiarisca"

Ieri, attraverso una lettera, Diego Della Valle aveva chiesto a Massimo Moratti "di sedersi pubblicamente intorno ad un tavolo insieme a me per cercare di spiegare ai tanti che vogliono sapere cosa sia veramente accaduto allora, perché i destini di due società amiche come le nostre, che condividevano gli stessi principi e gli stessi valori, abbiano avuto trattamenti diversi e destini diversi".
Oggi è arrivata la risposta del presidente nerazzurro Massimo Moratti: "È un tipo di domanda che dovrei fare a lui o a loro, perchè io non ho risposte da dare. Quello che pesa di più è quello che è successo allora a noi, non vedo perchè dovrei giustificarmi e al massimo è il contrario. E non voglio giudicare il tono, che non mi è piaciuto per niente. Mi siederò al tavolo con Della Valle? Penso che si divertiranno a fare una rimpatriata tra di loro, io sarei noiosissimo".
La risposta di Moratti non fa che confermare ulteriormente ciò che è ormai evidente da tempo: l'Inter non ha valide argomentazioni difensive su Calciopoli. Le parole del patron nerazzurro sono come le parole di un bambino capriccioso che vuole avere ragione ad ogni costo, indipendentemente da tutto e da tutti. La richiesta di Diego della Valle era più che legittima e i toni della lettera, nonostante non siano piaciuti al signor Moratti, sono tutt'altro che scortesi o scorretti. Si chiedono solo chiarezza e disponibilità a confrontarsi. L'azionista di riferimento dell'Inter ha risposto piccato e non ha accettato l'invito, ma questo era un copione già scritto. Quando non sia hanno argomenti di difesa, l'unica difesa possibile è negare il confronto.

domenica 17 luglio 2011

L'insopportabile linea difensiva dell'Inter

Come già ho avuto modo di dire in un precedente post (clicca qui per leggere post), la strategia difensiva adottata dall'Inter riguardo a Calciopoli è quanto di più squallido possa esserci. Nascondersi dietro ad una persona che non c'è più, Giacinto Facchetti, è qualcosa davvero di cattivo gusto ed è l'evidente segnale di una mancanza di argomentazioni difensive concrete da parte della società nerazzurra. Continua anche in questi giorni inesorabile la stomachevole litania di dichiarazioni da parte di tesserati del mondo nerazzurro in difesa del Cipe, nomignolo affettuoso con cui gli amici chiamavano Giacinto Facchetti. Nell'ordine prima il presidente Moratti, poi Toldo, Stankovic, Cordoba e infine il capitano Zanetti si sono tutti preoccupati di difendere la sua memoria. Come esempio riporto le parole di Zanetti, arrivate direttamente dall'Argentina dove è in corso la Coppa America: "Conosco bene Massimo Moratti ed ho avuto la fortuna di conoscere anche Giacinto Facchetti, e questo a me basta. È sorprendente che a cinque anni di distanza se ne continui a parlare: per fortuna la vicenda si sta per chiudere. Speriamo che sia una volta per tutte e che si possa vedere un miglior calcio in Italia. Non ci sono dubbi, quel titolo vale come gli altri".
Tengo a precisare che non c'è niente di male nel difendere Giacinto Facchetti, tutti quelli che lo conoscevano dicono che fosse una bella persona e personalmente non stento a crederlo. Il fatto intollerabile è che dietro alla difesa di Facchetti c'è il tentativo (per niente disinteressato) di far passare il messaggio che c'è un attacco mirato nei suoi confronti, come se qualcuno si divertisse per qualche strano motivo a infangarne la memoria. Non è così. Se nell'aprile 2010 i legali di Moggi hanno trovato, ascoltando le 171 mila intercettazioni, alcune chiamate - misteriosamente non trascritte né prese in considerazione dagli inquirenti che condussero le indagini - che dimostrano l'esistenza di una fitta rete di contatti tra esponenti dell'Inter e tesserati del mondo arbitrale, non si può far finta di niente. Se poi tra queste chiamate ce ne sono alcune che riguardano direttamente Giacinto Facchetti anche in questo caso non si può far finta che non esistano. E' un dispiacere per tutti che l'ex presidente nerazzurro non possa difendersi in prima persona, ma si tratta di materiale rilevante ai fini del Processo di Napoli e quindi va preso in considerazione. E' tutto così semplice.
A volte mi chiedo se gli interisti non hanno ancora capito di cosa si sta parlando oppure se fanno finta di non capire. Propendo per la seconda opzione, il che rende il tutto ancora più insopportabile.

giovedì 14 luglio 2011

Lo scudetto dei (dis)onesti e l'omertà della FIGC

Era il 26 luglio 2006 quando Guido Rossi, al tempo commissario straordinario della Federcalcio - nonché ex componente del CdA nearazzurro - prese la decisione di assegnare lo scudetto della stagione 2005/2006 all'Inter, con la motivazione di "società simbolo di giustizia e onestà". Tra pochi giorni correrà il quinto anniversario da quella storica decisione, nel frattempo sono cambiate tante cose (se volete farvi un'idea di quante cose sono cambiate cliccate qui).
E' successo che nell'aprile 2010 i legali di Luciano Moggi hanno fatto uscire dalle 171 mile intercettazioni alcune conversazioni, misteriosamente non trascritte dagli inquirenti, che hanno dimostrato l'esistenza di una una fitta rete di contatti tra esponenti dell'Inter e tesserati del settore arbitrale. Alla luce del nuovo materiale probatorio la Juventus presentò il 10 maggio un esposto al CONI, alla FIGC e alla Procura Federale in cui chiedeva la revisione della decisione di assegnare il titolo e pertanto la revoca dello scudetto 2005/2006. Nel luglio 2011, dall'inchiesta condotta dal procuratore federale Stefano Palazzi, è risultato che anche l'Inter ha violato l'articolo dell'illecito sportivo. Dalla relazione di 72 pagine del procuratore federale emerge che anche le condotte messe in atto dai vertici del club nerazzurro hanno violato gli articoli 1 e 6 del vecchio codice di giustizia sportiva, in quanto certamente dirette ad assicurare un vantaggio in classifica mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale (da Wikipedia).
Ieri i Della Valle hanno fatto uscire un duro comunicato che recita così: "È necessario spiegare a tutti perché migliaia di telefonate, utili nel loro insieme a precisare il quadro della situazione, siano state accantonate dagli inquirenti, in particolare dal colonnello Auricchio. L'Acf Fiorentina chiede con determinazione che il colonnello Auricchio, principale responsabile delle lacune e delle distorsioni emerse, spieghi immediatamente perché allora vennero prese certe decisioni e chi era al corrente delle decisioni prese. E in particolare perché venne selezionato il materiale probatorio a disposizione, ignorandone una parte consistente e rinunciando ad altri approfondimenti possibili e opportuni. È fondamentale anche sapere se i Pm Beatrice e Narducci fossero tenuti all'oscuro delle intercettazioni arbitrariamente considerate irrilevanti. E se i responsabili di allora del funzionamento della Federcalcio, il commissario straordinario Guido Rossi e gli organi di giustizia sportiva da lui nominati, fossero informati di una trasmissione solo parziale degli atti messi a loro disposizione. L'Acf Fiorentina propone che, una volta ottenute queste spiegazioni, i presidenti di tutte le società interessate, direttamente o indirettamente, si siedano intorno a un tavolo, si confrontino a viso aperto e chiudano definitivamente questa questione con chiarezza e onestà reciproca e prima dell'inizio della prossima stagione sportiva. Il calcio italiano non può permettersi di ripartire senza aver preso alcuna decisione e senza aver rasserenato l'ambiente". Il comunicato è quanto mai opportuno: c'è bisogno di chiarezza, è l'ora di abbattere questo muro di omertà che impedisce di vedere a fondo cosa c'è dietro a calciopoli.
La relazione di Palazzi, consegnata dallo stesso alla Federcalcio, ha inchiodato l'Inter e ha evidenziato inequivocabilmente le responsabilità della società nerazzurra. Ora la palla passa in mano proprio alla FIGC, che il 18 luglio dovrà esprimersi se revocare o meno lo scudetto ai nerazzurri. Qualche tempo fa il presidente della Federazione Abete disse: "l'etica non va in prescrizione". Adesso lo dimostri. Ciò che trapela però è ben altro, l'impressione è che la FIGC stia cercando il modo per lavarsene le mani e per non prendere nessuna decisione, con la motivazione che non è sua competenza decidere sulla revoca e non ne ha i poteri. L'obiettivo (non dichiarato) della Federazione non è quello di prendere la decisione eticamente più corretta, ma quello di prendere la decisione meno dolorosa dal punto di vista legale. Circa una settimana fa, dal ritiro di Bardonecchia, Andrea Agnelli disse: "Temo che la FIGC decida di non decidere". Probabilmente, purtroppo, la sua profezia sarà corretta.
Guido Rossi consegnò lo scudetto all'Inter con la motivazione di "società simbolo di giustizia e onestà", ma in tutto questo di giusto e onesto non c'è proprio nulla.

lunedì 11 luglio 2011

Caro Moratti non si nasconda

Dall'aprile 2010 - quando i legali di Moggi trovarono nelle 171 mila intercettazioni alcune chiamate che rivelavano l'esistenza di una una fitta rete di contatti tra esponenti dell'Inter e tesserati del settore arbitrale - la strategia difensiva adottata dal signor Massimo Moratti è stata all'insegna della più bieca ipocrisia. Ieri a Pinzolo, in Trentino, luogo che ospita il ritiro estivo 2011 dell'Inter, si è raggiunto davvero il momento più basso dell'intera vicenda, quando Stankovic e Cordoba hanno srotolato una gigantografia che raffigura l'ex presidente dell'Inter Giacinto Facchetti, scomparso nell'agosto 2006 in seguito ad una brutta malattia. Niente di male si direbbe, solo un modo per rievocare la memoria di un grande giocatore che ha fatto la storia non solo con la maglia nerazzura ma anche con la maglia della Nazionale, a cavallo tra gli anni '60 e '70. La sensazione che emerge però è che l'Inter stia usando l'immagine dell'ex presidente Giacinto Facchetti per spostare l'attenzione dal vero problema. Tra le numerose telefonate, riemerse grazie al lavoro dei legali di Moggi e ammesse al procedimento penale in corso presso il Tribunale di Napoli, ce ne sono infatti diverse in cui Giacinto Facchetti parla con i designatori e una in cui parla con l'arbitro De Santis. L'Inter, che fino a quel momento aveva sempre negato ogni tipo di contatto con esponenti del mondo arbitrale e si era sempre definita come "società simbolo di onestà e lealtà sportiva", si è trovata dunque pesantemente coinvolta nella vicenda. In particolare nel luglio 2011, a seguito dell'inchiesta condotta dal procuratore federale Stefano Palazzi, è risultato che anche l'Inter ha violato l'articolo dell'illecito sportivo, lo stesso per cui la Juventus ha dovuto scontare una pena durissima. Dalla relazione di 72 pagine del procuratore federale emerge che anche le condotte messe in atto dai vertici del club nerazzurro hanno violato gli articoli 1 e 6 del vecchio codice di giustizia sportiva, in quanto certamente dirette ad assicurare un vantaggio in classifica mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale (da Wikipedia).
Nessuno sta cercando di infangare l'immagine di uomo onesto e leale di Giacinto Facchetti, come invece crede o vuol far credere il presidente Moratti. Tutti quelli che parlano del Cipe, soprannome col quale gli amici si rivolgevano affettuosamente a Facchetti, dicono un gran bene di lui, e non stento a credere che fosse una gran bella persona. Qui però si sta parlando di altro: si sta parlando di un processo penale, quello di Napoli, che sta cambiando l'intera mappatura di Calciopoli e di fatto sta dimostrando che le sentenze del processo sportivo del 2006 furono, per usare un eufemismo, molto affrettate. Se al processo in corso a Napoli sono emersi degli elementi rilevanti, nello specifico chiamate tra dirigenti dell'Inter - non solo Facchetti ma anche Moratti - e designatori arbitrali e arbitri, non si può far finta di niente. Dispiace a tutti che Facchetti non possa difendersi in prima persona, ma è un dispiacere ancora più grande vedere il modo in cui Moratti non lo sta difendendo. Se Moratti volesse davvero difendere Facchetti troverebbe degli argomenti più validi rispetto a quello ipocrita secondo cui non si può tirare in ballo una persona che non c'è più. Forse non ha argomenti, e questo meriterebbe un capitolo a parte, ma almeno smetta di usare l'immagine di Giacinto Facchetti come scudo per non affrontare il vero problema.

venerdì 8 luglio 2011

Moggiopoli, calciopoli, farsopoli: una storia italiana

Ho sempre pensato che calciopoli sia una una tipica storia italiana, piena di zone oscure e manovre sotterranee poco chiare. Presentato al popolo italiano come il più grande scandalo della storia del pallone, a distanza di cinque anni sta assumendo più le forme del complotto che altro. Enzo Biagi, nel pieno della torrida estate 2006 del calcio italiano, rilasciò al Tirreno un'intervista che per la sua eccezionale lungimiranza merita di essere ricordata. Biagi si era reso conto prima di tutti che c'era qualcosa di molto strano nell'impalcatura di calciopoli e nel feroce accanimento mediatico contro la Juventus e in particolare contro la figura di Luciano Moggi. Un accanimento tale da fargli pensare che fosse stato creato e studiato ad hoc per coprire vicende infinitamente più gravi. Un pensiero davvero coraggioso e audace se consideriamo il momento in cui veniva espresso.
Ci sono in effetti molte cose strane in questa squallida vicenda che ha sconvolto il mondo del calcio nostrano. Ma andiamo per gradi e ricominciamo dall'inizio, dall'estate del 2006.

Quando scoppiò lo scandalo tutte le televisioni e i giornali, sportivi e non, individuarono lo stesso grande capro espiatorio: Luciano Moggi. Dunque pagine su pagine di intercettazione date in pasto al popolino, telefonate anche private messe alla mercé di tutti. Un unico grande obiettivo: inchiodare il mostro. Giornali e televisioni hanno un potere enorme sull'opinione pubblica, soprattutto quando sono tutti coalizzati sulla stessa linea. Non è stato molto difficile far passare il messaggio che Luciano Moggi controllava l'intero sistema del calcio italiano, muovendo tutti come marionette pronte ad inchinarsi di fronte al grande padrone. Ma le prove quali erano? Quali erano i terribili misfatti compiuti dall'allora dg della Juventus? Come poteva Luciano Moggi da Monticiano, di umili origini, essere il grande signore del calcio italiano?

Ecco un elenco delle cose che si dicevano all'epoca in cui scoppiò lo scandalo:
1) Moggi chiamava i designatori;
2) Moggi chiamava gli arbitri;
3) Moggi decideva le griglie arbitrali;
4) Moggi faceva regali ai designatori e nello specifico regalò una Maserati al designatore Pairetto;
5) Moggi rinchiuse l'arbitro Paparesta negli spogliatoi dopo Reggina-Juventus del 6 novembre 2004;
6) Moggi aveva degli arbitri preferiti che sceglieva per le partite più delicate, come De Santis che, essendo legato alla società Gea, riconducibile alla famiglia Moggi, favoriva la Juventus.
7) La prova schiacciante dell'esistenza della cupola sono le schede svizzere che Moggi acquistò e distribuì con lo scopo di creare una rete di comunicazione segreta.

Bene, ora vediamo punto per punto cosa c'è di vero a distanza di cinque anni.
1) Moggi chiamava i designatori.
Vero, ma all'epoca questo non era proibito dal ragolamento e Moggi non era certo l'unico a fare telefonate del genere. Il 27 ottobre 2008 Narducci, allora pm dell'accusa (ora ha lasciato Calciopoli per entrare nella giunta di De Magistris), dichiarò: "Piaccia o non piaccia agli imputati non ci sono mai state telefonate tra Bergamo o Pairetto e il signor Moratti". Peccato che nell'aprile 2010 i legali di Moggi, dopo avere ascoltato una parte delle 171 mila conversazioni intercettate, abbiano fornito le trascrizioni di telefonate tra Moratti e Bergamo e tra Facchetti e Bergamo. Come mai dopo avere intercettato 171 mila telefonate gli inquirenti trascrissero solo quelle che mettevano in cattiva luce Moggi, Giraudo e la Juventus? Come mai le intercettazioni di Moratti, Facchetti e quelle di altre società sono riemerse solo al processo di Napoli, grazie al lavoro dei legali di Moggi? Misteri italiani.
2) Moggi chiamava gli arbitri.
Falso, non c'è una sola intercettazione in cui Moggi chiama un direttore di gara. C'è solo un'intercettazione in cui l'arbitro Paparesta chiama Moggi, e Moggi appare alquanto scocciato della telefonata, tanto da chiudere bruscamente la conversazione.
In compenso ci sono diverse intercettazioni che dimostrano che Meani, all'epoca dirigente del Milan, chiamò più volte direttori di gara e che Facchetti chiamò l'arbitro De Santis. Ancora una volta c'è da chiedersi perché tutto questo sia rimasto nascosto per molto tempo.
3) Moggi decideva le griglie arbitrali.
Falso. I sorteggi arbitrali erano regolari, lo dicono le sentenze dei tribunali di Torino e Roma. Come faceva allora Moggi ad indovinare le griglie arbitrali? Beh, non era molto difficile indovinare le griglie conoscendo i meccanismi delle designazioni. Tanto che a due anni dalla famosa telefonata con Bergamo in cui indovinava per 4/5 la griglia per la 24ª giornata di A, l'ex d.g. juventino ha colpito ancora con un 3/5, compreso Paparesta per Inter-Roma.
4)  Moggi faceva regali ai designatori e nello specifico regalò una Maserati al designatore Pairetto.
Vero che faceva regali, falso che regalò una maserati. Quest'ultima voce nasce da una telefonata tra Moggi e Pairetto, nella quale i due parlano della consegna di una Maserati. Ma come ammette lo stesso procuratore Maddalena, l'automobile non era destinata a Pairetto, bensì ad un amico di quest'ultimo, e Moggi chiamò la Fiat solo per accelerare i tempi di consegna.
L'abitudine di fare regali ai designatori comunque non era certo esclusiva di Luciano Moggi, come emerge da un'intercettazione trascritta e fatta uscire ancora una volta dai suoi legali nell'aprile 2010, al Processo di Napoli. Si tratta di una chiamata tra Facchetti e Bergamo nella quale l'allora presidente dell'Inter dice al designatore di passare a casa di Moratti perché "ha un regalino da darti". Senza dimenticare poi ciò che successe nel Natale 1999, quando Franco Sensi, al tempo presidente della Roma, pensò bene di regalare costosissimi Rolex ai due designatori e agli arbitri in attività in quella stagione. Cattive abitudini, ma molto diffuse.
5) Moggi rinchiuse l'arbitro Paparesta negli spogliatoi dopo Reggina-Juventus del 6 novembre 2004.
Altra incredibile falsità diffusa dai mezzi di comunicazione e spacciata come la prova dell'esistenza del mostro. Tutto nasce da una conversazione telefonica tra Moggi e un'altra donna, nella quale Moggi, da grande millantatore quale era, si vanta di aver rinchiuso l'arbitro Paparesta nello spogliatoio e di aver portato le chiavi in aeroporto. Sarà capitato sicuramente anche a molti di voi di parlare al telefono con un amico e di raccontargli un episodio ingigantendo o inventando dei dettagli, per il semplice gusto di sentire la sua reazione, ed è proprio quello che fece Moggi in quella famosa chiamata. Tanto che al Processo di Napoli sia Paparesta, sia l'addetto agli arbitri della Reggina, sia un testimone presente hanno negato il fatto e la cosa è stata già, si fa per dire, archiviata.
6) Moggi aveva degli arbitri preferiti che sceglieva per le partite più delicate, come De Santis che, essendo legato alla società Gea, riconducibile alla famiglia Moggi, favoriva la Juventus.
In questi casi bisogna essere analitici: andiamo a vedere la media punti della Juventus con De Santis e la media punti senza De Santis. Nel 2004/2005 De Santis ha diretto 5 volte la Juventus; la Juve ottenne 2 vittorie, 1 pareggio e 2 sconfitte. Quella stagione la Juventus fece 86 punti, ergo: con De Santis media di 1,4 punti a partita, senza De Santis media di 2,39 punti a partita. Non ci vuole uno scienziato fisico per capire che anche questo argomento d'accusa non regge molto.
7) La prova schiacciante dell'esistenza della cupola sono le schede svizzere che Moggi acquistò e distribuì con lo scopo di creare una rete di comunicazione segreta.
Una prima considerazione da fare è che non è un reato possedere schede svizzere. Queste schede, effettivamente, esistono e Moggi non ne ha mai negato il possesso. Moggi ha dichiarato di avere avuto la sensazione di essere intercettato e di averle usate per evitare uno "spionaggio industriale". Sappiamo bene che Moggi era il re del calciomercato, e chi segue o ha seguito un minimo il calcio sa che l'ex dg della Juventus era molto abile nel riuscire a depistare tutti quelli che cercavano di scoprire le sue mosse. Si capisce bene che se le sue telefonate potevano essere ascoltate, altri avrebbero potuto venire a conoscenza degli affari di mercato che portava avanti. Ecco perché si rifornisce di queste schede, acquistandone nove a Chiasso, nel negozio di Teodosio De Cellis. Detto questo, è vero che due di queste schede Moggi le consegnò ai due designatori arbitrali Bergamo e Pairetto, ma è altrettanto vero che Bergamo utilizzò la scheda per poco, non appena finì il credito: la stragrande maggioranza delle telefo­nate fra il designatore e l’ex dg avvenne su linee intercettabili. Poi non è affatto vero che queste schede svizzere non sono intercettabili, come dimostra il perito della difesa l’ing. De Falco “Il cellulare è parte della rete, quindi quando lo accendo tutti sanno dove sono. La rete vede il telefonino e se non lo ha nei database chiede al gestore straniero se può dare la linea. Non è segreta per niente. I telefonini sono tutti intercettabili se si conosce il numero del telefonino. Quando c’è una telefonata il gestore non segna solo il numero della sim ma anche il numero del telefonino. Sarebbe stato interessante vedere se questi numeri erano associati anche ad altri numeri cellulari ma non è stato fatto". Inoltre non c'è neanche una prova che Moggi abbia distribuito queste sim agli arbitri, come invece si insinuava quando scoppiò lo scandalo. Per concludere: si è recentemente scoperto che il negozio di Teodosio De Cellis era frequentato anche da altri dirigenti di squadre di calcio, tra cui il direttore tecnico dell'Inter Marco Branca. Smontata dunque anche l'accusa più pesante.
Crolla, sprofonda l'intero impianto accusatorio.

Il processo sportivo del 2006 si svolse in un clima di fortissimo ostracismo nei confronti della Juventus, di fatto già condannata dai media e dall'opinione pubblica prima ancora che dalla giustizia sportiva. E' così che il 14 luglio 2006 arrivò la prima sentenza della Caf (Commissione d'appello federale): Juventus retrocessa in Serie B con 30 punti di penalizzazione (poi ridotti a 9) e revocati due scudetti (stagioni 2004/2005 e 2005/2006). Il 26 luglio Guido Rossi, nominato commissario straordinario della FIGC, completa l'opera, decidendo di assegnare il Titolo di campione d'Italia per la stagione 2005/2006 all'Inter, con la motivazione di "società simbolo di giustizia e onestà". Va ricordato per la cronaca che Guido Rossi è stato per anni un componente del CdA dell'Inter, ma sappiamo bene che in Italia il conflitto di interessi è un concetto piuttosto vago.

Sono passati cinque anni da quella sentenza che sconvolse gli equilibri del calcio italiano, e il contesto è decisamente diverso. Tutto è cambiato nell'aprile 2010, quando nel procedimento penale in corso presso il Tribunale di Napoli, vennero ammesse nuove intercettazioni che avrebbero rivelato, secondo l'imputato Luciano Moggi, l'esistenza di una una fitta rete di contatti tra esponenti dell'Inter e tesserati del settore arbitrale. Alla luce del nuovo materiale probatorio la Juventus presentò il 10 maggio un esposto al CONI, alla FIGC e alla Procura Federale in cui chiedeva la revisione della decisione di assegnare il titolo e pertanto la revoca dello scudetto 2005/2006. Nel luglio 2011, dall'inchiesta condotta dal procuratore federale Stefano Palazzi, è risultato che anche l'Inter ha violato l'articolo dell'illecito sportivo. Dalla relazione di 72 pagine del procuratore federale emerge che anche le condotte messe in atto dai vertici del club nerazzurro hanno violato gli articoli 1 e 6 del vecchio codice di giustizia sportiva, in quanto certamente dirette ad assicurare un vantaggio in classifica mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale (da Wikipedia). I reati però sono prescritti e dunque viene disposta l'archiviazione per quanto riguarda la posizione dell'Inter.

A distanza di cinque anni possiamo dire che l'unica società che ha pagato davvero, e ha pagato un prezzo salatissimo è stata la Juventus. La sentenza del processo sportivo ha profondamente alterato gli equilibri del calcio italiano, cambiandone di fatto la storia recente. L'Inter, da eterna perdente, è diventata la squadra capace di vincere 5 scudetti consecutivi (sebbene il primo della serie lo vinse a tavolino, essendo arrivata terza a -15 dalla Juventus) e la Champions League 2009/2010; la Juventus invece, da squadra Campione d'Italia, da avere una delle rose più forti al mondo, si ritrovò improvvisamente in Serie B, costretta a vendere, e in alcuni casi a svendere, molte delle sue stelle: Cannavaro, Thuram, Zambrotta, Vieira, Emerson, Ibrahimovic se ne andarono tutti in quella estate. Per non parlare dei danni d'immagine ed economici che derivarono dalla condanna.
Sta per iniziare la sesta stagione post calciopoli e la Juventus non è ancora uscita dalle sabbie mobili della ricostruzione. Distruggere è semplice, ricostruire può essere terribilmente difficile. Quando si parla di calciopoli, l'errore è pensare che si parli solo di due scudetti; si parla di molto di più: di un processo, quello sportivo, durato venti giorni, che lascia ancora oggi i suoi effetti ben visibili sul calcio italiano. Quando si parla di calciopoli ci sono in gioco le ultime cinque stagioni.

Alla luce del nuovo materiale probatorio emerso nell'aprile 2010, la Juventus non sarebbe stata condannata ad una pena così dura, si sarebbe relativizzata la sua posizione, non ci sarebbe stata nessuna Serie B, sarebbero rimasti i suoi campioni. In poche parole il suo percorso di successi non si sarebbe bruscamente interrotto. Restano e probabilmente resteranno alcune domande irrisolte: perché gli inquirenti e il Colonnello Auricchio, che pilotò le indagini, trascrissero solo alcune delle 171mila intercettazioni, in particolare quelle che mettevano in cattiva luce Moggi e la Juventus? Perché non vennero trascritte le intercettazioni tra Facchetti, Moratti e i designatori arbitrali e i direttori di gara? Perché tutto questo è rimasto nascosto ed è saltato fuori solo nell'aprile 2010, a distanza di quattro anni dallo scandalo, grazie al paziente lavoro degli avvocati di Moggi?

Calciopoli è una vicenda molto squallida, nella quale ci sono ancora troppe zone d'ombra e domande irrisolte. E' sintomatico, da questo punto di vista, anche il processo di trasformazione attraverso cui è passato il neologismo usato per designare lo scandalo del calcio italiano: nel pieno della tempesta mediatica Oliviero Beha coniò il termine moggiopoli, sul modello di tangentopoli, salvo poi pentirsi e passare ad un più neutrale calciopoli, a sua volta poi ribattezzato da molti farsopoli. Tutto ciò è una conseguenza del modo poco chiaro in cui sono state condotte le indagini e del modo altrettanto poco chiaro in cui è stata gestita l'intera vicenda.

Mi sa che ancora una volta aveva ragione il grande e compianto Enzo Biagi, quando in quella famosa intervista al Tirreno dell'agosto 2006, disse: "Vuoi vedere che per coprire uno scandalo di dimensioni ciclopiche hanno individuato in Luciano Moggi il cattivo da dare in pasto al popolino?".

martedì 5 luglio 2011

Siamo così intelligenti?


L'essere umano, dotato di capacità creative ed elaborative senza paragoni, autore di invenzioni meravigliose, proiettato per natura nel futuro e padrone indiscusso del mondo, è davvero così intelligente? Quando valutiamo e diamo giudizi su qualcosa, qualsiasi cosa essa sia, non possiamo farlo prendendo in considerazione solo i suoi estremi positivi. Ad esempio a nessuno verrebbe in mente di dire che un maratoneta ha fatto una grande gara perché è riuscito a reggere il ritmo dei migliori nei primi cinque chilometri. Così come a nessuna persona seria verrebbe in mente di giudicare l'operato del governo solo sulla base delle decisioni giuste che ha preso. Ogni analisi che sia degna di questo nome dovrebbe invece essere globale e quindi prendere in considerazione tutte le parti in causa. Noi esseri umani però siamo molto egocentrici, e quando diventiamo l'oggetto delle nostre ricerche spesso perdiamo quel rigore che ci caratterizza in altre circostanze. In buona sostanza vogliamo ad ogni costo fare una bella figura di fronte a noi stessi e per questo siamo anche disposti a truccare le carte in gioco. Così continuiamo a sentirci belli, forti e molto intelligenti.

Proviamo però a cambiare il nostro punto di vista e a spogliarci di quel narcisismo insopportabile che ci opprime. Soffermiamoci su uno degli aspetti secondo me più affascinanti della psicologia umana: il modo in cui si formano le convinzioni e le idee personali. Cinicamente dico che questo processo avviene in modo superficiale nella grande parte delle persone. D'altronde questo è quello che dimostra la storia. Pensiamo ai regimi totalitari del Novecento: è evidente che se questi sono potuti esistere e durare così a lungo è innanzitutto grazie al sostegno, spesso cieco e incondizionato, dei propri popoli, costruito attraverso un uso scientifico e terribilmente efficace dei mezzi di comunicazione, dai giornali alla radio, dal cinema alla televisione. L'efficacia di queste tecnologie non va ovviamente ricercata nella loro essenza, quanto nelle capacità (ma forse sarebbe meglio chiamarle incapacità) critiche degli esseri umani. Siamo animali pigri, come diceva Freud siamo come macchine e tendiamo naturalmente ad uno stato di quiete; l'unica vera fonte di stimolazione per l'essere umano è la libido. Formarsi un'opinione in modo consapevole è qualcosa che richiede un grande dispendio di energie. E' faticoso approfondire una tematica, entrare nei suoi dettagli, o anche solo cercare di capirne gli aspetti fondamentali. Per molti è semplicemente troppo faticoso. Molto più comodo appiattirsi sull'opinione comune, su quello che si dice e si sente dire più spesso. In questo modo, con un bassissimo spreco di energie fisiche e cognitive, ci siamo creati un punto di vista personale (personale?) e al tempo stesso siamo sicuri che questo non ci creerà problemi nella nostra vita sociale: come può crearci problemi un'idea che condividiamo con gli altri? Siamo animali estremamente opportunisti.
E finché ci vorremo sentire belli, forti e intelligenti, sospendendo ogni giudizio obiettivo su noi stessi, saremo anche animali molto limitati e terribilmente pericolosi.

sabato 2 luglio 2011

E' nata una stella

Wimbledon 2011 verrà probabilmente ricordato come il torneo che ha consacrato Novak Djokovic, tennista serbo classe 1987. Nole infatti, raggiungendo la finale, è diventato il nuovo numero uno dell'Atp, scavalcando in questa posizione proprio il suo avversario della finale di domani, Rafael Nadal. Negli ultimi 7 anni, dal 2004 ad oggi, la prima posizione dell'Atp era sempre stata una cosa di Federer e Nadal. Il serbo quindi è riuscito a mettere fine a questo lungo duopolio e ora possiamo dire che è entrato a tutti gli effetti nella storia del tennis, del grande tennis.

Ma Wimbledon 2011 verrà ricordato anche, o forse soprattutto, chissà, per aver lanciato una nuova stella nel tennis femminile, la ceca Petra Kvitova, classe 1990. La Kvitova si è aggiudicata il titolo battendo in finale la russa Maria Sharapova col punteggio di 6-3 6-4. Non conosco molto la Kvitova, ma la personalità e la sicurezza con la quale ha giocato la sua prima finale del Grande Slam mi fanno pensare che il tennis femminile abbia finalmente trovato la campionessa che aspettava da un po'. Alcuni dicono addirittura che sia l'erede della grande Martina Navratilova, ma per questo aspetterei ancora un po'...